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Perché i primi passi del governo Meloni sono promettenti

Un primo bilancio del governo Meloni. Focus su politica economica, riforme e politica estera. L’analisi del professor Benedetto Ippolito, storico della filosofia

Il 22 ottobre dell’anno scorso è cominciata la nuova stagione del primo governo Meloni. In tempi quasi da record rispetto alle elezioni politiche anticipate del 25 settembre faceva così il suo debutto in Italia il primo esecutivo direttamente guidato da un leader politico proveniente da un partito esplicitamente di destra.

L’eccezionalità della situazione si è riverberata nell’urgenza della legge finanziaria, i cui tempi non erano assolutamente semplici da rispettare, ma la cui ultimazione ha evitato l’esercizio provvisorio. Non vi è stato tempo neanche per la tradizionale luna di miele, anche perché, restando alla metafora, il matrimonio Meloni-Italia è parso stabile e non bisognoso di fuochi fatui. Tener presente questo calendario stretto è importante per capire che le vere iniziative economiche organiche sono destinate all’anno in corso, prima vera fase operativa piena dell’esecutivo.

Ciò nonostante, i mesi trascorsi non sono stati inutili ma anzi hanno favorito già del materiale tangibile per una prima, provvisoria, valutazione. Domina, nella coscienza psicologica collettiva, la consapevolezza della fortunata possibilità di un esecutivo di legislatura, o comunque di medio periodo, con cui fare i conti nei prossimi anni.

Le iniziative intraprese del governo hanno espresso i primi abbozzi di una visione politica sistematica, la quale è stata con chiarezza annunciata in campagna elettorale, e che corrisponde adesso ad un programma che, al di là delle singole voci, ha una base intelligibile netta dal punto di vista generale, sebbene chiaramente si tratti pur sempre della sintesi di una maggioranza di coalizione, con identità diverse presenti al suo interno.

La cosa sicura è che siamo davanti ad un governo di destra, con esplicite finalità conservatrici, l’unico realmente in carica tra le nazioni europee occidentali: perciò, la domanda, che da analisti è essenziale porsi, è la seguente: che significato politico ha questo fatto dal punto di vista strategico? E, meglio ancora, che vuole dire oggi essere una nazione guidata da una classe politica conservatrice?

La risposta può essere indotta da tre iniziative che sono state prese già da questo esecutivo: la prima relativa alla politica economica, la seconda alla riforma dello Stato e la terza alla politica estera.

Per quanto riguarda gli aspetti economici è chiaro che il governo Meloni vuole puntare sull’economia reale della nazione, sulla valorizzazione delle piccole imprese e delle famiglie. È in questa direzione che va valutata la querelle sull’abbassamento del limite ai contanti e sul condono fiscale. Guardare ad una società che si sente vessata e oppressa da una legislazione e da un sistema normativo troppo stringente e soffocante costituisce, senz’altro, un’attesa veramente incombente nel corpo elettorale, che ha determinato perciò la vittoria di settembre, dando consenso al progetto.

Partire dagli italiani, intesi come persone reali che vivono e operano in modo volenteroso ma in mezzo a tremende difficoltà, la cui attività economica non può essere creata in laboratorio ma deve essere aiutata a sopravvivere e crescere, è indubbiamente una scelta intelligente, nonostante le complessità prevista nel rendere effettivo un obiettivo così ambizioso. Quasi tutto resta ancora da fare, logicamente: ad esempio, riequilibrare il fisco, modificando le aliquote, riconfigurare in senso meritocratico l’organizzazione del lavoro e così via. Importantissimo da questo punto di vista è l’eliminazione del reddito di cittadinanza per destinare i sussidi alle condizioni involontarie di disoccupazione, premiando la produttività, l’impegno e l’efficienza, contro invece un insano assistenzialismo parassitario. La Costituzione indica distintamente fin dal primo articolo che il lavoro è non un accidente irrilevante ma un dovere diritto di tutti coloro che sono, per età e condizione, in condizione di operare. Il reddito di cittadinanza è semplicemente immorale, come inaccettabile è qualsiasi iniziativa che vada nella direzione opposta alle politiche di solidarietà sociale che sono dovute a famiglie e cittadini in effettiva difficoltà. Lo Stato non deve mantenere i cittadini, ma aiutarli ad essere se stessi, sia che operino nel privato e sia che servano la nazione nel pubblico.

Particolarmente rilevante è il piano anziani, la quale ha trovato anche un plauso della CEI, molto importante politicamente, specialmente perché avvenuto dopo un cordiale incontro tra Meloni, il suo staff e Papa Francesco.

I principi cattolici sono essenziali per la destra italiana, e, soprattutto oggi, restano i parametri veritativi della nostra tradizione anche quando vi è una certa discordanza tra le finalità dello Stato e della Chiesa: in questo caso, poi, l’avvicinamento è di mutuo interesse per far fronte alla crisi che gli italiani stanno vivendo dal punto di vista esistenziale, sia spirituale e sia materiale.

Un secondo punto importante è la riforma dello Stato. Essa riguarda sia il comparto giustizia e sia quello della forma di governo. Il garantismo, tipico della cultura liberale, è perfettamente consentaneo al rigore nell’applicazione della legge, proprio del conservatorismo. La polemica sul ministro Nordio e sulle intercettazioni è strumentale e priva di sostanza, risolvibile nella formula: intercettazioni giudiziarie sì, abuso delle intercettazioni e loro pubblicazione no.

Nessuno Stato di diritto può disattendere a questo dovere di rispetto delle persone nell’esercizio snello, efficiente e rigoroso della legalità. Un giudice non è un personaggio dello spettacolo e non è un politico, ma è espressione personale del potere giudiziario. Perciò sobrietà e serietà sono criteri etici indispensabili, per altro diffusi nella maggior parte dei magistrati.

Dal lato delle riforme, i prossimi mesi saranno fondamentali. Modificare in senso presidenziale lo Stato implica mutare in senso federale le amministrazioni locali: non soltanto non vi è contraddizione ma connessione logica tra queste due prerogative. Il consiglio non richiesto è riprendere, tra le singole proposte di legge, proprio quella del 1983, fatta dall’allora MSI, dove si prevedeva e giustamente l’elezione diretta del capo dello Stato ad invarianza di poteri. Le ragioni dell’opportunità di una scelta del genere, rispetto ad altre, sarebbero molte. Ne indicherò due: così non si stravolgerebbe la Costituzione e si lascerebbe il presidente con i poteri limitati ma non irrilevanti che possiede oggi, in continuità con la tradizione della nostra legislazione corrente.

Il terzo ambito di azione è la politica estera. Fare della nostra nazione un luogo strategico di passaggio delle forniture energetiche dell’Unione ed esportare, tutelandone la determinazione sovrana e l’identità culturale, l’italianità nel mondo è l’unica risorsa vera che il nostro Paese detiene. L’Italia non ha materie prime, ma ha cultura, tradizioni, benessere, stile di vita e creatività che nessuno può battere e tutti invidiano. Sostenere con orgoglio e forza la nostra identità italiana, anche quella meno visibile culturalmente, oltre che la nostra straordinaria genialità umanistica, scientifica e tecnologica, è il futuro, il nostro e quello delle generazioni che verranno, oltre ad essere un giusto riconoscimento nei riguardi dei nostri padri e nonni che ci hanno reso quello che siamo e che possiamo essere.

Tutto sommato, dunque, questi primi passi del governo Meloni sono promettenti. Il rischio è la stanchezza e la lacerazione dei rapporti tra i partiti di maggioranza che potrebbe generarsi nel tempo. La speranza è nell’entusiasmo e bravura di Meloni e nella concreta possibilità che alcuni effetti diventino realtà presto e bene, nonostante gli scioperi dei benzinai e altri malcontenti che ci sono e ci saranno, e che vanno contemplati, in una certa misura, come inevitabili.

La forza della destra risposa sempre nella comunità, nella stabilità dei valori, nelle risorse esistenti di tipo spirituale e materiale delle persone. La nostra debolezza nazionale non è la nazione, ma è l’architettura del nostro Stato e della nostra amministrazione pubblica, la quale tende a favorire la presenza cristallizzata di poteri improduttivi e tremendamente resistenti ad ogni efficientamento del Paese e pronti all’esterofilia piuttosto che perdere le acquisite prerogative individuali.

La maggior parte degli italiani, tuttavia, non beneficiano di questi favori e desiderano fare, crescere, trovare realizzazione e ottimismo. Qui sta la chiave che ha in mano Giorgia Meloni: sua è la responsabilità di tenere acceso il motore e far marciare la nostra macchina speditamente verso l’avvenire.

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