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La moda dipinta, ritratta, scolpita, realizzata dai grandi artisti. L’abito che modella, nasconde, dissimula o promette il corpo. L’abito come segno di potere, di ricchezza, di riconoscimento, di protesta, cifra distintiva di uno stato sociale o identificativa di una generazione. La moda come opera e comportamento, l’arte come racconto e come sentimento del tempo. Dalla Rivoluzione Francese alla Pop Art, fino alla nostra contemporaneità, oltre 200 capolavori d’arte e cento abiti dialogano nella mostra ‘L’arte della moda. L’età dei sogni e delle rivoluzioni, 1789-1968’, allestita dal 18 marzo al 2 luglio al Museo Civico San Domenico di Forlì. In esposizione opere da Tintoretto a De Chirico, da Matisse a Mondrian, ma anche da Ferragamo ad Armani, da Coco Chanel a Gucci e Prada.
    Se il legame tra abito e ruolo sociale è proprio di tutte le civiltà organizzate, il principio di cambiamento costante della moda è l’effetto di un lungo processo storico e segna l’avvio della modernità. Mostrare i segni della ricchezza e del potere, farsi vedere ed essere visti assume già con l’Ancien Régime e poi con le Rivoluzioni nell’età borghese un significato programmatico e comunicativo. La moda si colloca al centro del potere e della sua comunicazione, della società e dei suoi segni simbolici. Sinonimo di lusso e seduzione, è specchio delle contraddizioni contemporanee, travestimento e arte dell’apparire. Cambiano gli stili e cambiano i materiali, si aprono nuove produzioni, e con la diffusione cambiano i linguaggi e la comunicazione. Dalla fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento il rapporto tra artisti e moda si fa più intenso: artisti che oltre a ritrarre l’eleganza, disegnano abiti e gestiscono la comunicazione della moda, stilisti che collezionano opere d’arte e ne fanno oggetto di ispirazione o il simbolo della propria contemporaneità. (ANSA).
   

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