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Jeremy Chan: chi è lo chef delle meraviglie ospite di Masterchef Italia 12

Nella vita si può essere semplicemente belli, oppure, in casi rarissimi, si può essere perfetti. Appartiene a questa seconda categoria Jeremy Chan, chef cosmopolita tra i più bravi e interessanti della sua generazione, ormai quasi ospite fisso di Masterchef Italia. Nato in Inghilterra da madre canadese e padre cinese, vissuto tra Hong Kong, l’Oriente, gli Stati Uniti e l’Europa, Jeremy Chan ha saputo fare tesoro del suo essere cosmopolita. In lui convivono un mix di lingue (ne parla correntemente sette), tradizioni e tratti somatici che hanno costituito il bagaglio culturale su cui è riuscito a creare una cucina unica. 

Lo abbiamo visto nell’ultima puntata del talent dispensare consigli agli aspiranti chef sull’utilizzo dei cinque sensi in cucina, gentile ma inflessibile, sorridente ma severo, e comunque sempre, inevitabilmente irresistibile. Non solo per la sua avvenenza, che ha certamente annebbiato per qualche secondo la lucidità di alcune concorrenti (come è successo alla fiorentino-vietnamita Hue). Nonostante la sua giovane età – ha 35 anni, ma ne dimostra parecchi di meno – Jeremy Chan ha addosso un carisma importante, un’energia contagiosa, e una buona dose di professionalità, decisione e serietà che ne hanno fatto negli anni il grande chef che è. 

Il suo Ikoyi a Londra

 «Uno dei ristoranti più innovativi e originali aperti a Londra negli ultimi tempi». Non usa mezzi termini la Guida Michelin per definire il ristorante di Jeremy Chan, l’Ikoyi di Londra, sorto nel quartiere di St James’s Market e poi trasferito al 180 The Strand building, hub della giovane creatività. «Uno chef cerebrale e visionario, capace di creare piatti iconici», dice di lui la The World’s 50 Best Restaurants, che piazza il suo ristorante al quarantanovesimo posto, conferendogli nel 2021 il premio «one to watch», quello che incorona le grandi promesse del futuro, per essersi distinto fin dall’apertura per «il suo uso audace del gusto, ottenuto introducendo nuove e originali combinazioni di ingredienti e presentandoli con uno stile indefinibile». 

Due stelle Michelin appuntate sulla giacca, Jeremy Chan costruisce la sua cucina – come ha spiegato a Masterchef – concentrandosi sui sapori forti e divertendosi a bilanciarli. Il piccante, l’umami, l’acido, l’amaro sono i giocattoli nelle sue mani: la sfida è portarli esattamente là dove vuole lui, in una maniera totalmente unica. «Fin dall’inizio, giornalisti e scrittori di cibo si sono dati da fare per incasellare il ristorante e definirne la cucina» spiega la 50 Best. «Ma si sono presto resi conto che il cibo che usciva dalla cucina era impossibile da classificare esattamente».

Da Ikoyi le spezie e le erbe sono l’ingrediente fondamentale per accendere la creatività dello chef, in una cucina costruita «attorno alla micro-stagionalità britannica: verdure coltivate con lentezza per preservarne il sapore, pesce pescato in modo sostenibile e carne di manzo locale invecchiata».

Tra i piatti signature più famosi di Jeremy Chan c’è certamente il suo smoked Jollof, reinterpretazione di un piatto tipico africano a cui, nella versione dell’Ikoyi, si aggiungono gusti umami e piccanti perfettamente bilanciati, e una componente di mare non presente nella versione tradizionale della ricetta, ma aggiunta dallo chef con una crema pasticcera di granchio, un’insalata di granchio fresca e una pasta wok hei di aglio, zenzero e peperoncino, chiaro richiamo alla sua eredità cantonese. 

Il menu del ristorante che Jeremy Chan ha aperto nel 2017 insieme al suo compagno di scuola  Iré Hassan-Odukale costa 300 sterline, ma c’è anche la possibilità – il mercoledì e il giovedì – di provare la formula pranzo, spendendo un po’ meno: 180 sterline. 

Chef, poliglotta e scrittore

Tra le ultime fatiche dello chef Jeremy Chan c’è anche un libro, che racconta tutti i segreti, la filosofia e la storia della cucina dell’Ikoyi. 

Il libro – ha spiegato Chan – include le sue storie sull’importanza delle spezie e dell’audacia in cucina, nonché riflessioni e aneddoti personali sulle gioie e le sfide che lui e il suo socio hanno vissuto nel creare l’Ikoyi. «Spero che questo sia il tipo di libro che non solo gli chef possano apprezzare, ma chiunque sia interessato alla cucina e agli scritti personali su cibo, memoria, cultura e famiglia», ha concluso lo chef.

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