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Vi racconto le capriole del banchiere Bini Smaghi sul Patto Ue di Stabilità

Che cosa ha scritto – molto a sorpresa – l’ex membro del comitato esecutivo della Bce e attuale presidente della francese Société Générale, Lorenzo Bini Smaghi, sulla riforma del Patto di Stabilità. L’approfondimento di Giuseppe Liturri

Sul Corriere della Sera di sabato sembrava di leggere le osservazioni di un pericoloso euroscettico. Invece abbiamo letto Lorenzo Bini Smaghi – economista, attuale presidente di Société Générale e membro del comitato esecutivo della Bce dal 2005 al 2011 – tutto intento a sottolineare i pericoli per l’Italia derivanti dalla riforma del Patto di Stabilità. Ricordiamo che risale ai primi di novembre la proposta della Commissione che dovrebbe applicarsi a partire dal 2024.

Prima di entrare nei dettagli, ci sia consentito di rilevare – senza voler con questo peccare di pregiudizio verso l’autore – che il suo passaggio in Bce è stato caratterizzato da due intempestivi rialzi di tassi nel 2008 e nel 2011 e, soprattutto, dalla famosa lettera dell’agosto 2011, a firma congiunta di Mario Draghi e Jean-Claude Trichet, con cui si commissariò di fatto il governo Berlusconi e si favorì la sua caduta. Le prescrizioni di politica economica di quella lettera, pedissequamente applicate sotto il ricatto dello spread, sono state la causa principale di un decennio di crescita asfittica del nostro Paese.

L’economista fiorentino – non da oggi critico verso i progetti di riforma del Patto – si concentra su quattro aspetti di natura “politica”, a suo dire trascurati dal dibattito e più dettagliatamente analizzati in un paper appena pubblicato.

Si sottolinea la particolare attenzione dedicata dalla riforma ai Paesi con debito pubblico ritenuto “ad alto rischio”, tra cui soprattutto l’Italia, che finirebbe per essere la destinataria principale delle nuove regole. Quindi ne denuncia l’asimmetria applicativa.

Il secondo aspetto riguarda il debordante potere, conferito alla Commissione, di definire il sentiero di riduzione del debito in 4-7 anni. Una ulteriore pesante condizionamento allo spazio di agibilità delle decisioni nazionali, che finirebbe compresso senza un’adeguata legittimazione democratica conferita preventivamente alla Commissione dai Trattati.

Il terzo aspetto è quello dell’imposizione di un tetto alla spesa pubblica, ancora una volta particolarmente penalizzante per l’Italia.

Il quarto aspetto è quello sanzionatorio. Che la riforma rafforza arrivando a poter sospendere l’erogazione dei fondi europei (tra cui Next Generation UE) per i Paesi non in regola.

A suo dire, questa riforma nulla migliora di ciò che è migliorabile ed introduce ulteriori distorsioni e crea solo “un vincolo esterno più stringente”. La sua idea è che sia sufficiente modificare il percorso (previsto dal trattato sul Fiscal Compact, non dai regolamenti del Patto di Stabilità) che impone la riduzione del debito eccedente il 60% del PIL, in quote da 1/20 all’anno. Basterebbe dimezzarlo, conclude Bini Smaghi che sottolinea la capacità dell’attuale Patto di consentire una ordinata riduzione del debito.

Cosa c’è che non va? I rilievi di Bini Smaghi sono riscontrabili in interventi di altri economisti (Francesco Saraceno, Gustavo Piga e Stefano Micossi, tra gli altri), quindi non si intravede il rivendicato carattere di particolare originalità dell’intervento.

Stupisce di più la pretesa volontà di intestarsi il ruolo di chi sottrae gli argomenti ai “sovranisti” (qualsiasi cosa, cioè nulla, voglia dire). Come se evidenziare i difetti della costruzione europea sia un esercizio da sottrarre a pericolosi “cattivi” e vada riservato ai “buoni”. Stupisce anche il passaggio in cui si si evidenzia il merito del governo Berlusconi di aver bloccato nel 2004 una proposta della Commissione simile a quella attuale. A voler essere maliziosi appare più una “captatio benevolentiae” verso l’attuale maggioranza di governo.

Infine la ciliegina sulla torta: il rifiuto del “vincolo esterno”. Ossia il mantra ideologico nel nome del quale si è giustificata qualsiasi angheria nei confronti dell’Italia, almeno a partire dal 1992. L’idea perversa che solo decisioni prese nelle sedi europee, alle cui istituzioni abbiamo sempre mostrato prona fedeltà, avrebbero consentito di far funzionare il nostro Paese. Forse Bini Smaghi – novello San Paolo folgorato sulla via di Damasco – avrà realizzato che quelle decisioni hanno prevalentemente danneggiato l’Italia. E lui non era certamente in prima linea nell’osteggiarle, anzi.

Avete letto Bini Smaghi oggi sul Corriere della Sera? Che faccia! Che coraggio! L’ex membro della Bce difende l’indifendibile. Secondo lui il problema dell’Europa non è “la presunta egemonia tedesca”, ma la “debolezza degli altri Paesi membri”. Ma dove vive? All’illuminato banchiere manca qualche passaggio, come ad esempio l’Euro, una moneta costruita sulla forza dell’economia tedesca che ha regalato alla Germania un forte vantaggio competitivo”.

Così nel 2014 l’attuale Presidente Giorgia Meloni commentò su Facebook un altro editoriale di Bini Smaghi. Parole che restano d’attualità.

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