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Presunta truffa ai danni dello Stato, confermato maxi sequestro a famiglia di imprenditori • newsrimini.it

Il Tribunale del Riesame ha confermato il sequestro di 600 mila euro nei confronti dei fratelli Paesani, Lucio e Claudio, e del padre Luciano, indagati – è l’ipotesi della Procura sulla base dei riscontri della Guardia di finanza – per una presunta truffa aggravata ai danni dello Stato nell’ambito della riqualificazione dell’hotel Vasco di Viserba, di proprietà della famiglia Paesani, per decenni sede degli uffici tecnici e degli alloggi di servizio della Questura di Rimini.

Il collegio riminese (presidente Fiorella Casadei, giudici a latere Agnello e Lasalvia) è stato chiamato a pronunciarsi un’altra volta dopo la sentenza della seconda sezione della Cassazione, che aveva ritenuto fondato il motivo di ricorso degli indagati avente ad oggetto il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza del cosiddetto “periculum in mora”. Nel ricorso l’avvocato Paolo Righi, legale dei Paesani, aveva sostenuto in primis l’insussistenza dell’accusa e poi che il sequestro della somma era immotivato date le garanzie economico patrimoniali fornite dai propri assistiti.

Il Riesame, invece, sul primo punto ha spiegato come “nell’ordinanza impugnata non era ravvisabile alcuna violazione di legge, poiché la motivazione sul punto è tutt’altro che mancante o apparente in ordine alla ritenuta natura fittizia della operazione, dedotta da molteplici elementi, indicativi della volontà degli indagati di simulare l’esistenza di una struttura patrimoniale-finanziaria della società alberghiera.

Inoltre, gli stessi giudici riminesi hanno sottolineato che la società alberghiera “risulta caratterizzata da una situazione patrimoniale negativa” e che le garanzie personali date dai due soci fideiussori non sono sufficienti essendo “i loro redditi personali irrisori rispetto all’entità del finanziamento garantito (quello da 600mila euro ottenuto dal Medio Credito Centrale, ndr). Per il Riesame, infatti, “l’esistenza dei cespiti immobiliari (come garanzia, ndr) è un dato di valutazione aleatoria in quanto non è stata fornita una stima, ma sono stati unicamente prodotti dei dati catastali”. Senza contare, poi, che “su tale patrimonio non si può escludere che si concentrino eventuali iniziative di una cerchia più vasta di creditori, tenuto conto che il pubblico ministero ha evidenziato un debito complessivo prossimo ai 7 milioni di euro per le realtà aziendali riconducibili alla famiglia”.

Da qui, concludono i giudici, la sussistenza di “un effettivo pericolo di dispersione dei beni prima della definizione” e la “conseguente conferma del provvedimento impugnato”, ovvero il sequestro cautelare dei 600 mila euro.

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