Il nuovo Regolamento Ue sull’uso sostenibile dei pesticidi impone una diminuzione dell’utilizzo di fitofarmaci del 50% entro il 2030, ma per gli agricoltori italiani equivale a una drastica riduzione, se non scomparsa, di intere filiere, con evidenti ricadute sull’indotto. Fatti, numeri e commenti
Il comparto dell’agricoltura made in Italy si sente colpito non solo dall’introduzione di novel food come carne coltivata e prodotti contenenti farina di grillo. Diverse associazioni di categoria sono allarmate per il nuovo Regolamento sull’uso sostenibile dei pesticidi (Sur) che impone ai membri Ue in tempi molto ravvicinati – ovvero entro il 2030 – di ridurre del 50% l’uso dei fitofarmaci.
Una richiesta che, secondo gli addetti ai lavori, provocherebbe la drastica riduzione, se non scomparsa, di intere filiere, con evidenti ricadute sull’indotto.
Per questo motivo, Confederazione italiana agricoltori (Cia), Alleanza delle Cooperative italiane, Fruitimprese, Consorzio delle organizzazioni di agricoltori moltiplicatori di sementi (Coams) e Cso Italy si sono rivolte ai ministeri della Salute e dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (Masaf), chiedendo di poter utilizzare il pesticida 1,3-dicloropropene, almeno “in situazioni di emergenza”.
COSA CHIEDE L’UE
Nel quadro del nuovo regolamento all’interno della strategia “Dal produttore al consumatore” proposto il 22 giugno scorso, la Commissione europea chiede agli agricoltori degli Stati membri di ridurre del 50% l’uso dei fitofarmaci entro il 2030.
In Italia, secondo il Comagri report 2022, la percentuale salirebbe al 62%. Tuttavia, Il Messaggero scrive che “nei campi italiani è comunque iniziato da tempo il percorso di riduzione dei fitofarmaci (-38% rispetto a cinque anni fa) e vengono impiegati per il 45% prodotti ammessi nelle coltivazioni bio. Già oggi sono 2,2 milioni gli ettari convertiti a biologico”.
IL NO BIPARTISAN DELLA POLITICA
Il fronte della politica, indipendentemente dalla propria appartenenza, sembra compatto nel disaccordo con l’Ue.
A luglio, l’europarlamentare leghista Mara Bizzotto, in una interrogazione parlamentare ha detto che la richiesta non offre valide alternative e “non tiene minimamente conto dei pesanti rincari dei costi energetici e di produzione che stanno colpendo duramente aziende agricole e consumatori”.
Paolo De Castro, europarlamentare del Pd, ad agosto parlava di “schizofrenia” da parte dell’esecutivo Ue perché “da un lato chiede ai nostri agricoltori di produrre più cereali, derogando ai requisiti ambientali della Pac, per fare fronte alla crisi alimentare causata dall’attacco russo all’Ucraina; dall’altro cerca di imporre target di riduzione dei fitofarmaci del tutto irrealistici, e con impatti devastanti sulla capacità produttiva europea e la sicurezza alimentare globale”.
E a settembre ricordava che una simile misura “porterebbe a perdere fino a un quinto delle nostre produzioni”.
GLI ULTIMI SVILUPPI
Lo scorso dicembre i parlamentari Ue Salvatore De Meo di Forza Italia e Camilla Laureti del Pd hanno riferito che “sui fitofarmaci di sintesi chimica […] la Commissione Ue ha accolto la richiesta del Parlamento di sottoporre la questione a una seconda valutazione d’impatto. Il che è probabile farà slittare il regolamento di riforma alla prossima legislatura, a partire dal 2024”.
Il Consiglio, infatti, ritiene che “poiché la valutazione d’impatto [del nuovo regolamento, ndr] fornita dalla Commissione si basa su dati raccolti e analizzati prima dello scoppio della guerra della Russia in Ucraina, gli Stati membri temono che non tenga conto dell’impatto a lungo termine sulla sicurezza alimentare e sulla competitività del settore agricolo dell’Ue”.
LA RICHIESTA DELLE ASSOCIAZIONI MADE IN ITALY
A far sentire la propria voce sono poi le associazioni di categoria che, stando al Sole24Ore, hanno indirizzato una lettera al ministero della Salute e al Masaf, per chiedere “la reiterazione del rilascio all’uso ‘in situazioni di emergenza’ di una molecola particolarmente efficace nel controllo dei nematodi fitoparassitari, ma ritirata nel 2018, in attesa di nuovi dati di sperimentazione: l’1,3D Dichloropropene”.
“Da questo fumigante – scrive il quotidiano riportando le loro parole – dipende la sopravvivenza di intere produzioni come carota e fragola in vivaio, che hanno un giro di affari rispettivamente di 250 milioni e 340 milioni di euro”.
LA RISPOSTA DEL MASAF
“Non possiamo immaginare una riduzione drastica dei fitofarmaci, che servono ad arginare alcune patologie, e nel contempo non trovare soluzioni alternative col rischio di favorire nazioni che utilizzano prodotti chimici in quantitativi esponenziali rispetto a noi”, è stato il commento del ministro del Masaf, Francesco Lollobrigida.
COS’È L’1-3 DICLOROPROPENE
Il dicloropropene è un pesticida usato nelle colture di diversi Paesi per controllare i parassiti.
(AB)USO DELLE “SITUAZIONI DI EMERGENZA”?
Secondo un rapporto di Pesticide Action Network Europe (PAN), questa sostanza rientra tra le 24 che tra il 2019 e il 2022 hanno ricevuto 236 autorizzazioni di emergenza per il loro utilizzo. Tuttavia, stando alla ricerca, “poiché è stato dimostrato che questi pesticidi sono altamente tossici per la salute umana e l’ambiente o che contribuiscono all’aumento di agenti patogeni resistenti agli antibiotici, sono stati vietati nell’Ue”.
“I pesticidi neonicotinoidi, associati al declino delle api, rappresentano quasi la metà delle autorizzazioni – si legge -, mentre il pesticida 1,3-dicloropropene, ha ottenuto deroghe anche se non è mai stato approvato per l’uso nell’Ue”.
Queste autorizzazioni di emergenza, però, osserva Euractiv, sono concepite per essere limitate nel tempo, cioè per un periodo non superiore a 120 giorni, ma “il rapporto ha rilevato che alcuni Stati membri si affidano sistematicamente a queste deroghe anno dopo anno, non riuscendo a implementare le tecniche di gestione integrata dei parassiti”.
In Italia, per esempio, l’anno scorso il ministero dell’Agricoltura aveva concesso l’autorizzazione per situazioni di emergenza fitosanitaria al 1,3-dicloropropene (nematocida) e al difenoconazole + folpet (fungicita). Il primo poteva essere utilizzato per le colture di melanzane, patate da seme, basilico, meloni; il secondo per quelle di pero al fine di contenere la maculatura bruna.
LE RICADUTE ECONOMICHE
Per il presidente della Cia, Cristiano Fini, “in assenza di difesa dai parassiti e dalle malattie si stima un calo del 70% per le rese di grano duro, del 62% per l’olio e addirittura dell’81% per il pomodoro da salsa, dell’84% per il riso e dell’87% per il mais”.
Per Nomisma, dopo la spinta nel post Covid, l’agricoltura è in fase di stallo. Nel 2022 si registra, infatti, una variazione positiva dovuta esclusivamente all’aumento dei prezzi agricoli (+21%).
“Le commodity, già cresciute nel 2021, sono schizzate nel 2022: riso (+69%), soia (+12%), frumento (+42%), mais (+39%). L’inflazione pesa su tutto il settore food (+13,1% annuo) con picchi per pasta (+20%), prodotti lattiero-caseari (+17,4%) e olio (+16,2%). Allo stesso tempo, tutti i settori agricoli sono stretti dall’aumento generale dei costi di produzione (+22%), guidati dal +55% della voce energia”, afferma il report.
La Cia denuncia, infine, la necessità di una “legge ad hoc per redistribuire il reddito e assicurare alla fase agricola una quota adeguata di valore aggiunto lungo la filiera, partendo dai costi medi di produzione quale limite minimo”. Nel nostro sistema agroalimentare, che vale 550 miliardi di euro (il 15% del Pil), al settore primario agricolo arriva infatti ben poco: “di ogni 100 euro di spesa ai produttori restano in tasca solo 6 euro netti, addirittura appena 2 nel caso dei cibi trasformati”.
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