Attacco di cuore in chiesa, salvata dal defibrillatore. Un forte dolore al petto mentre gioca in palestra, Lorenzo deve la vita a Giulia addestrata a usare il defibrillatore. Colto da malore durante la passeggiata, un ragazzo afferra il defibrillatore installato sul marciapiede ed evita la tragedia. Dall’Emilia-Romagna alle Marche, alla Toscana e in quasi tutta Italia crescono gli interventi che evitano gli effetti dell’arresto cardiaco, il killer invisibile che colpisce 60mila persone all’anno nel nostro Paese, oltre 600mila in Europa.
Sono i risultati della legge approvata dal Parlamento nell’agosto del 2021, in piena pandemia: defibrillatori in scuole, centri commerciali, porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, centri sportivi, uffici della pubblica amministrazione. Una diffusione capillare che ha moltiplicato le donazioni dei dispositivi e prodotto un forte incremento di presenze ai corsi per imparare il loro utilizzo; mentre è cresciuto il numero delle città cardioprotette. Una legge di civiltà, salute e progresso che però ha impiegato quasi venti anni per vedere la luce. Un tempo irragionevole.
Nella legge c’è l’incontro tra l’errore (il ritardo) e la virtù (le tante vite salvate). Il Parlamento non indugi quando si tratta di decidere sulle questioni sensibili. Da troppo tempo, ormai, si attendono risposte sui temi etici.