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Il centrodestra vuole il ritorno delle province. Ma a livello provinciale si spacca sui presidenti

(foto LaPresse)

contraddizioni

Depositano in Parlamento disegni di legge per abolire la legge Delrio. Eppure anche quando si tratta di scegliere un candidato a livello locale FdI, Lega e FI non fanno altro che litigare. I casi di Arezzo, Savona, Frosinone e Foggia

Da una parte vogliono l’elezione diretta del presidente della provincia, la riassegnazione di una serie di competenze che sono state sottratte dalla famosa legge Delrio oramai quasi dieci anni fa. Dall’altro fanno una gran fatica anche solo a mettersi d’accordo al loro interno per una candidatura che tenga assieme tutte le sensibilità della coalizione. Nel centrodestra ci si arrabatta tra questi due contrapposti stati d’animo. Si vuole un ritorno al conforto del passato. Ma quando si tratta di delineare un percorso d’amministrazione, è un attimo che Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia s’incagliano nelle rispettive divergenze e contraddizioni.

Lo abbiamo visto anche di recente, in occasione delle elezioni amministrative. Mesi e mesi a discutere cercando di superare i rispettivi veti. E poi è successo che a Roma e Milano si è rimasti lontani dall’essere realmente competitivi. O com’è accaduto a Verona, dove due contrapposte candidature d’area hanno condotto alla vittoria della sinistra dopo anni di incontrastato governo della città. Così quelli che stiamo per elencare sono casi in piccolo, tendenze “provinciali”, per l’appunto. Ma allo stesso tempo assumono tutta una loro rilevanza politicamente glocal che trascende lo stretto territorio di osservazione. 

Lo scorso dicembre la provincia di Arezzo ha eletto il suo nuovo presidente. Secondo le regole dettate dalla Delrio, come candidati possono concorrere i sindaci dei comuni della provincia, che vengono votati dai consiglieri comunali dei singoli municipi. Nell’aretino la grande favorita era l’uscente Silvia Chiassai, primo cittadino di Montevarchi, del centrodestra. E’ finita con un inaspettato ribaltone che ha portato all’elezione di Alessandro Polcri, sindaco di Anghiari. Un risultato a sorpresa perché Montevarchi è un comune più grande, i suoi consiglieri hanno un peso ponderato più ampio. Ma anche e soprattutto perché il capoluogo Arezzo è governato dal 2015 da Alessandro Ghinelli, sostenuto unitariamente da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Cos’è successo allora? Secondo Chiassai “era un anno che alcuni lavoravano a un disegno architettato e tessuto per spaccare il centrodestra a vantaggio dei propri interessi”. E anche per il sindaco di Arezzo, Ghinelli, “queste elezioni sono state surreali per molte ragioni, l’ultima delle quali è quella che ha visto il centrodestra compatto sulla carta ma non compatto dentro le urne”. In pratica molti voti sarebbero venuti a mancare da parte degli stessi consiglieri dei partiti della coalizione. 

Un clima simile lo si è avvertito a Savona, dove per la presidenza della provincia c’è stato un testa a testa tutto interno alla coalizione che governa il paese. Martedì si sono sfidati il presidente uscente Pierangelo Olivieri, sindaco di Calizzano sostenuto da Cambiamo, il movimento del governatore Giovanni Toti, e il primo cittadino di Borghetto Santo Spirito Giancarlo Canepa, per cui si sono spesi i partiti big. La sinistra non aveva neppure un suo candidato. Alla fine Olivieri è stato riconfermato con oltre il 66 per cento delle preferenze ponderate. Ma non si poteva ricucire prima? Lo stesso presidente della Regione Toti nell’immediato post rielezione ha confessato di non aver capito perché “alcuni alleati de centrodestra non lo hanno appoggiato”. Lasciando intuire un malessere montante in regione, dove la solidità e l’unità d’intenti del centrodestra vengono considerate come piuttosto ballerine

Quasi nulla rispetto a quanto successo a Frosinone. Dove la fuga in avanti del sindaco del capoluogo Riccardo Mastrangeli stava per provocare una crisi nella maggioranza di centrodestra che governa il comune. Con Fratelli d’Italia e Forza Italia che rinfacciavano al primo cittadino frusinate di aver avanzato la propria candidatura senza previa consultazioni con le forze della coalizione. Fatto sta che le tensioni sono state avocate a sè da uno specifico tavolo regionale (che nel frattempo stava chiudendo per la candidatura di Francesco Rocca). Che comunque non è riuscito a prevenire la sconfitta di Mastrangeli, cui alla fine è stato preferito il sindaco di Sora Luca Di Stefano, del Pd. 

L’ultimo caso in ordine cronologico, invece, riguarda la provincia di Foggia. Dove la corsa per scegliere il vertice della provincia sarà a tre perché le sigle del centrodestra hanno presentato due distinte candidature. Forza Italia e Fratelli d’Italia puntano su Nicola Gatta, sindaco di Candela ma soprattutto fratello del plenipotenziario Giandiego, a lungo consigliere regionale di FI, a settembre eletto alla Camera. Mentre la Lega un paio di giorni fa ha presentato la propria “candidatura unitaria del centrodestra identitario”, ovvero il sindaco di Lesina Primiano Di Mauro, battezzato anche dall’europarlamentare e patron del Papeete Massimo Casanova, fedelissimo di Matteo Salvini. Si capisce allora perché la proposta di reintrodurre le vecchie provincie si porti dietro quantomeno una domanda: ma se a destra litigano anche quando le opzioni di candidatura sono già piuttosto risicate, cosa possono arrivare a fare qualora dovessero tornare a pescare tra le candidature più sconfinate e fantasiose?

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