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È l'ora del processo a Bergoglio – Giuseppe De Lorenzo

Si addensano le nubi sul Vaticano. È come se la morte di Benedetto XVI avesse mollato gli ormeggi sin lì tenuti saldi dalla coesistenza dei due papi. Da una parte il pontefice tradizionalista, preso di mira dal mondo progressista tedesco e da quel “vociare assassino” che tanto turbava Ratzinger. E dall’altra il papa regnante “che viene dall’altra parte del mondo”, amato anche da chi non crede eppure avversato dai cosiddetti “conservatori”. Prima le uscite a gamba tesa di Padre Georg Gaenswein. Poi il memorandum di George Pell (“il suo pontificato è un disastro”). E infine le bordate di Timothy Broglio, capo dei vescovi americani. Uno dietro l’altro, i nodi di Santa Romana Chiesa sono venuti al pettine. Facendo scattare quella che appare l’ora “x” di un vero e proprio processo a Bergoglio.

L’ultima requisitoria l’ha redatta Gerhard Ludwig Müllercardinale vicino a Benedetto XVI, suo successore alla Congregazione per la Dottrina della Fede e da sempre critico col Santo Padre. In un libro di recente pubblicazione, Müller ha denunciato l’esistenza di “un cerchio magico” a Santa Marta composto da consiglieri del Papa neppure tanto preparati dal punto di vista teologico e dottrinale. Praticamente, un atto di accusa. Cui è seguita oggi un’intervista al Corriere della Sera in cui il cardinale assicura di non essere “un nemico di Francesco”, ma nemmeno un suo adulatore. Infatti ne critica la riforma della Curia. Ne critica l’addio alla messa in latino, uno “schiaffo” che “ha scavato dei fossati”. E ne mette in discussione il processo di nomina dei vescovi scelti “perché amici dell’amico che li raccomanda”.

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L’intervista è ben più dura di quanto ci si potesse attendere. E testimonia lo stato dell’arte nei rapporti all’interno della Chiesa: se nessun porporato tradizionalista si metterebbe mai in testa di disconoscere Bergoglio come il successore di Pietro, d’altra parte neppure lo considerano “Dio in terra”. “Si deve distinguere – spiega Müller – tra atti che riguardano la dottrina e le altre opinioni, come quelle politiche”. Che è un po’ come dire: ciò che sta facendo non ci piace. Non piace il modo in cui ha cacciato il cardinal Becciu e ha tolto il ruolo a padre Georg (“Alcuni vescovi si sono sentiti maltrattati”). Non piace la gestione della Curia (“La gerarchia non è una forma dell’autocrazia”, “il Papa non è sovrano della Chiesa” e “Pietro non era il dittatore degli apostoli”). Non piace neppure il canale di dialogo aperto con il regime cinese, una “dittatura comunista brutale che nega i diritti umani”. Con Pechino, è il sentimento di una fetta di vescovi, si può trattare ma “non si possono fare compromessi con il Male”. Non è un caso che tra i più aspri critici di Francesco ci sia il cardinale Joseph Zen, ultranovantenne porporato di Hong Kong, che ha passato una vita a combattere Pechino e che ha cercato in tutti i modi di mettere in guardia Bergoglio dal firmare un accordo sulla nomina dei vescovi.

Per approfondire

In realtà la questione non è né solo curiale né riguarda esclusivamente il posizionamento politico della Chiesa, che si parli di Cina, di migrazioni o di altro. La distanza tra “le due Chiese” è soprattutto dottrinale. Di sostanza. Il sinodo tedesco ha aperto alla comunione ai divorziati, alla benedizione delle coppie omosessuali, al sacerdozio femminile e all’abolizione del celibato per i preti. Tutte spinte progressiste per ora in parte frenate da Francesco, ma che i vescovi americani (molto pro life) e l’area che fa capo a Müller guardano con timore. “Dio ha creato l’uomo e la donna, questa è la base della fede”, spiega il cardinale convinto che, in tema di sessualità, ci si trovi di fronte ad una sorta di “eresia”. Una “deriva protestante” denunciata anche dal Goerge Pell nel suo ultimo articolo pubblicato poco dopo la sua morte improvvisa. Su The Spectator, il cardinale scriveva che il sinodo voluto da Francesco è stato accompagnato da un documento preparatorio “tra i più incoerenti mai inviati da Roma” e soprattutto formulato “in gergo neo-marxista” e “ostile alla tradizione apostolica”.

Su tutto aleggia sempre la figura di Benedetto XVI. E sopratutto quanto contenuto nel suo ultimo libro, una raccolta di riflessioni realizzate nei 10 anni al Mater Ecclesiae. Anche il Papa emerito, oltre a denunciare i “club omosessuali nei seminari” e il “vociare assassino” nei suoi cronfronti, era angosciato da una certa deriva dottrinale. Quella di alcuni vescovi che sembrano rifiutare “la tradizione cattolica nel suo complesso mirando nelle loro diocesi a sviluppare una specie di nuova, moderna cattolicità”.

Giuseppe De Lorenzo, 23 gennaio 2023

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