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Dopo Speranza, pure Boldrini: il Pd ha scelto il suicidio – Giuseppe De Lorenzo

Il Pd ha deciso di suicidarsi. O di andarci molto vicino. Non solo perché a diversi mesi dalle catastrofiche elezioni sta ancora discutendo sul sesso degli angeli e se chiamare il partito PaDel oppure no. Non solo perché i sondaggi sono impietosi. Ma anche perché negli ultimi giorni, anziché pensare a quali battaglie intraprendere e quali risposte dare ai cittadini, la discussione è stata tutta incentrata sulle vecchie personalità da imbarcare. Tre nomi su tutti: Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema e Laura Boldrini.

Ora, il partito democratico ovviamente ha tutto il diritto di cercare di tirare dentro chi meglio crede. Vuole legarsi mani e piedi a Roberto Speranza, pronto a traghettare tutto Articolo 1 nel Pd che verrà? È un suo diritto. Vuole reintegrare “la ditta” che se ne andò sbattendo la porta in faccia al riformismo renziano? Faccia pure. Vuole avere a che fare con il baffo di D’Alema (“Sono in pensione da 7 anni, non partecipo al dibattito”, dice lui) e la sua ormai florida attività “di consulenze”? Auguri.

Il problema è che così i dem si danno la zappa sui piedi. Rinnovare partendo dall’usato garantito non pare infatti un’ottima scelta, come non lo sarebbe legare la propria immagine a Laura Boldrini. Ieri l’ex presidente della Camera ha detto che prenderà la tessera del Pd per cercare di “cambiare le cose” da dentro, per “rinnovare” il partito e per “rafforzare l’unico argine che esiste alla destra più destra di sempre”. Poi conta poco che oggi Boldrini non abbia votato il dl Ucraina che spedisce le armi a Kiev, linea sin qui sempre adottata dal Pd di Enrico Letta. E poco importa pure che le parole d’ordine dell’ex presidente della Camera, dalle desinenze femminili all’immigrazione, siano in realtà uno dei motivi del fallimento della sinistra tutta che si è incaponita su battaglie di retroguardia, ideologiche e che poco interessano ai comuni cittadini: lo ius soli, i porti aperti, le Ong, il ddl Zan e le varie Cirinnà (cuccia del cane esclusa).

Su questo ha ragione da vendere Stefano Bonaccini, che nell’ottica del futuro Pd rappresenta l’alternativa più centrista rispetto alla radicale Schlein: “Mi interessa poco che rientrino dirigenti ed ex dirigenti – spiega a destra e a manca da giorni – a me interessa recuperare quei 7 milioni di elettori che abbiamo perso per strada”. Di parere opposto Elly, che invece vorrebbe un vero e proprio “ricongiungimento familiare” e che, se vincesse, porterebbe il Pd più vicino a Conte di quanto ci si possa immaginare.

Il nuovo amore Pd-Articolo1-Boldrini, comunque, è ormai cosa fatta e neppure Bonaccini riuscirà ad evitarlo. Un vero peccato. Se mai dovesse vincere, il governatore emiliano non avrà vita facile. Dovrà mediare tra chi – come lui – considera il Jobs Act un passaggio tutto sommato positivo della sinistra e chi invece se ne andò criticando l’abolizione dell’articolo 18. Dovrà frenare le spinte verso la “cosa rossa” col M5S, lui che in Emilia rifiutò ogni coalizione. E dovrà cercare di dare uno spirito “riformista” ad un partito che sta imbarcando una marea di “massimalisti”. Tutto divide gli ex bersaniani da Bonaccini, il cui primo compito sarà quello di cercare di arginare il potere dei vecchi compagni per non rischiare la paralisi. Bonaccini ha promesso rinnovamento totale della dirigenza, ma tra il dire e il fare ci son sempre di mezzo le correnti. Quindi vedremo.

Il tempo ci dirà quale sarà il destino dei dem. Intanto il presente è affastellato di nubi nere. Nonostante la diatriba sul voto online, nonostante il nuovo manifesto di valori spostato a sinistra, nonostante il dibattito sul cambio di nome (o forse proprio a causa di tutte queste cose), l’ultimo sondaggio Swg per il Tg di La7 registra il Pd al suo minimo storico: un misero 14%. Una palude da cui sarà difficile risollevarsi. Ed è impensabile che il miracolo avvenga grazie all’acquisto di Laura Boldrini.

Giuseppe De Lorenzo, 24 gennaio 2023

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