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David Hicks, il genio dell’interior design che ha cambiato colore agli appartamenti di re Carlo III

«Lo dipinga color alito di elefante».

Negli anni Sessanta, maestri dell’arredamento d’interni come John Fowler parlavano dei colori in termini eterei come questi quando un loro collega, David Hicks, rivoluzionò la professione con un prosaico bicchiere di Coca-Cola. A lanciarglielo fu la moglie, Lady Pamela Hicks, nel corso di una lite domestica che avrebbe stravolto le carte dei colori di imbianchini e tappezzieri: di lì a poco, infatti, milionari come i Niarchos sostituirono i toni chiari dei loro appartamenti con pareti «marrone Coca-Cola», l’iconico colore che, come ha raccontato una volta Lady Pamela, Hicks iniziò a usare ispirandosi alla grande macchia che aveva lasciato la bevanda.

A venticinque anni dalla morte di David Hicks, un libro analizza l’uso di questo e altri colori da parte dell’uomo che ha cambiato tono al XX secolo. Pubblicato dalla rivista di interior design Cabana, David Hicks in colour ripercorre la carriera di Hicks in dieci capitoli, uno per ogni colore che nelle foto (alcune pubblicate per la prima volta a colori) vediamo dominare gli spazi da lui realizzati. Autore del testo è Ashley Hicks, figlio di Hicks e interior designer a sua volta, che accompagna il lettore in questo viaggio cromatico attraverso le opere del padre.

Il design del libro di Cabana si ispira a quello dei manuali di interior design pubblicati da David Hicks stesso. La foto di copertina mostra l’anticamera arancione «Hermés» progettata da David Hicks per Lord John Cholmondeley nel 1965

Per quanto riguarda il blu, Ashley Hicks racconta che suo padre aveva solo dodici anni quando rimase impressionato dalla casa di una vicina rimasta vedova che era andato a trovare: la donna l’aveva ristrutturata dipingendo le stanze di un blu scuro intenso. Il giovane Hicks non dimenticò quell’esperienza. Nel 1954, anche lui utilizzò colori intensi nella nuova casa acquistata a Londra da sua madre, dopo che l’aveva convinta a disfarsi di tutti i suoi averi per disporre di un luogo adatto dove cimentarsi con l’interior design.

Con le sue pareti rosso smeraldo e scarlatto rivestite di feltro, la casa degli Hicks nell’elegante quartiere di Belgravia fece scalpore quando apparve in foto nella rivista House & Garden. I lettori avidi di novità come la signora Rex Benson, ex moglie del fondatore del gruppo Condé Nast, lo ingaggiarono non appena videro il reportage. Volevano qualcosa di diverso da ciò che offriva Colefax & Fowler, il leggendario studio di interior design che, sotto la guida di John Fowler e Nancy Lancaster, aveva creato lo stile di arredamento che andava per la maggiore nelle dimore britanniche: oggetti d’antiquariato in sale color «tetto di paglia» e tessuti floreali sgargianti.

«Mio padre detestava il preziosismo di John Fowler. Ha sempre cercato di prendere le distanze dalle sue case con uno stile più maschile», spiega Ashley Hicks al telefono. «Negli interni storici mescolava pezzi d’antiquariato con lampade e mobili incredibilmente moderni. I motivi geometrici delle sue moquette e dei suoi tessuti si ispiravano a disegni tradizionali, ma lui li semplificava in modo da renderli nuovi».

I celebri motivi geometrici di David Hicks compaiono sullo sfondo di ogni pagina del libro

CABANA

Nel 1960, il matrimonio con l’aristocratica Lady Pamela Mountbatten, cugina di primo grado del Duca di Edimburgo ed ex dama di compagnia della Regina Elisabetta II, gli diede accesso a nuovi clienti e nuove stanze in cui perfezionare il proprio stile. Britwell House, la villa georgiana della coppia a Oxford, si trasformò nel laboratorio dei suoi progetti più rappresentativi. Lì Hicks creò la prima delle sue famose moquette geometriche (prototipo di quella poi utilizzata da Kubrick in Shining) e i suoi tablescapes (paesaggi di piccoli oggetti disposti su tavolini).

Sopra la mensola del vecchio camino in marmo del suo studio aveva appeso un quadro di Bruce Tippet, uno degli artisti contemporanei che amava accostare ai suoi tesori da antiquario. Era il tipo di accostamento che voleva per il proprio appartamento londinese il figlio minore dell’allora Gran ciambellano di Elisabetta II, Lord John Cholmondeley, uno dei giovani aristocratici che negli anni Sessanta si era stancato dei pesanti saloni dei suoi antenati e aveva ingaggiato Hicks. Nel 1965, l’interior designer rivestì le pareti della sua anticamera con carta arancione, trasformandola in una «gigantesca scatola di Hermès» dove mettere in risalto la sua collezione di mobili di design e arte contemporanea.

Nelle stanze della casa londinese di un’altra collezionista d’arte contemporanea, Helena Rubinstein (fondatrice del famoso marchio di cosmetici), Hicks optò per un colore ancora più appariscente: il magenta, come un abito di Balenciaga da cui l’imprenditrice non esitò a ritagliare un pezzo da usare come campione.

Per lo studio dell’allora principe di Galles (ora re Carlo III) nei suoi primi appartamenti veri e propri al Castello di Windsor, Hicks propese per una carta grigio scuro, una tonalità che secondo Ashley Hicks suo padre associava agli abiti che acquistava in Savile Row. «Per altre stanze ha disegnato una moquette con un motivo blu reale a piume di struzzo del principe di Galles e un drago gallese in rosso», ricorda l’interior designer nel corso della nostra chiacchierata. «L’ha creata solo per Sua Altezza Reale, anche se poi ne ha fatto fare un pezzo in più per il pavimento del nostro bagno degli ospiti».

Si respirava un’aria nuova e David Hicks era in grado di percepire quali colori preannunciava. In epoca vittoriana, il marrone era un colore comune per gli interni, ma c’è voluta la fissazione di Hicks con i toni della Coca-Cola per farlo tornare in abitazioni come quella londinese dei figli del magnate greco Stavros Niarchos o quella parigina della contessa di Flers.

Ashley Hicks e Martina Mondadori (direttrice e fondatrice di Cabana Magazine) con i vecchi libri di interior design di David Hicks. I bicchieri, le tende e la tovaglia fanno parte di una collezione ispirata alle creazioni di Hicks che Cabana ha lanciato in occasione della pubblicazione del libro

CABANA

Definito una volta l’unico interior designer che l’uomo della strada fosse in grado di nominare, David Hicks era una figura onnipresente nelle riviste, dove compariva tanto per fare la pubblicità di un Rolex quanto per consigliare a Jackie Kennedy quali modifiche apportare alla Casa Bianca.

Negli anni Settanta le sue stampe geometriche erano ovunque. Hicks progettò uffici, biancheria da letto, camere d’albergo, un bar sul transatlantico RMS Queen Mary 2 e, infine, quand’era ormai affetto dal cancro ai polmoni che l’avrebbe ucciso nel 1998, la propria bara e tutto ciò che riguardava il suo funerale: tanto per dire quant’era meticoloso.

Sepolto come desiderava, con i ritagli dei necrologi che gli avevano dedicato i giornali e le riviste di tutto il mondo, David Hicks morì in un decennio che aveva iniziato a sostituire le sue moquette con nudi pavimenti in legno d’acero e i suoi colori contrastanti con minimalisti cubi bianchi.

«Quando è morto mio padre, anch’io mi divertivo a fare l’opposto di quanto sapevo che gli piaceva, una specie di birichinata infantile per infastidire il suo spirito», racconta Ashely Hicks. «Negli ultimi anni il mondo dell’interior design non lo entusiasmava, e temo che oggi gli piacerebbe ancora meno».

Ciò nonostante, il mondo non l’ha dimenticato.

«Lo stile di mio padre è sopravvissuto in parte per la semplicità e la perenne attualità delle sue creazioni e in parte per il suo modo geniale di promuoverle, non solo nelle riviste dell’epoca ma anche in una serie di libri di grande ricchezza visiva che riscuotono ancora molto successo».

Sono stati proprio quei manuali di interior design a ispirare il progetto di David Hicks in colour. Adesso che i pavimenti in laminato grigio si diffondono nelle nostre case come il Nulla di La storia infinita, vale la pena di avere sottomano questo libro e ricordare la forza dei colori.

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