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Ucraina, perché è sbagliato criminalizzare i “putiniani d'Italia” – Dino Cofrancesco

“Chi non ‘è con me è contro di me”, si legge in ‘Matteo’ 12,30. Le parole di Gesù avevano un senso, per i credenti, giacché essere contro di lui, significava stare dalla parte dell’Inferno. Con la ‘secolarizzazione’, però, non ci sono più potenze demoniache e schiere angeliche che le combattono ma è rimasto il senso religioso di un mondo diviso in buoni e cattivi. “Qui non est mecum contra me est!” Chi non condivide i miei valori è mio nemico. Un manicheismo che può considerarsi l’ultima traccia delle età teologiche. ”Chi non è con noi è contro di noi”, ammonì Benito Mussolini nel discorso di Roma del 24 marzo 1924. La grandezza della democrazia liberale sta nell’aver trasformato il nemico (ontologico) in un avversario politico al quale è riconosciuto il diritto di dire ciò che vuole, di associarsi con chi crede, di criticare liberamente  il governo, senza dover temere sanzioni: purché, naturalmente, rispetti le regole del gioco.

È un “costume della mente e un abito del cuore”, per citare Tocqueville, che da noi non hanno mai messo solide radici giacché il pluralismo, che ha in mente la cultura politica italiana, è una tavolozza con le diverse tonalità di un unico colore. È vero che, in linea di massima, sono tutti ammessi nel dibattito pubblico ma ciò che si esige da quanti provengono da formazioni non liberali è un’abiura certo comprensibile, se limitata al giuramento di fedeltà alla Costituzione e al riconoscimento dei ‘delitti contro l’umanità’, di cui si erano resi colpevoli i partiti ai quali si era aderito un tempo, sennonché tale abiura è resa assurda da richieste degne di un Inquisitore.

Il ‘velen dell’argomento’, infatti, sta nel ‘non accontentarsi’, nel  dire: ‘non basta’, “è troppo comodo condannare oggi certe pratiche se non vengono fatte risalire alla natura stessa dell’ideologia dalla quale sono nate”. Meloni, La Russa e altri possono pure definire le leggi razziali una pagina nera della storia italiana, possono pure ritenere che l’Asse Roma/Berlino sia stato un delitto contro il Risorgimento e la sua filosofia civile: non basta, dovrebbero aggiungere che fin dai giorni di San Sepolcro quelle scelte tragiche erano iscritte nel dna del fascismo.

Nessuno, a quel che mi risulta, ha rilevato il carattere grottesco di tale pretesa. Ammettiamo pure che fin dalle origini Mussolini pensasse a una politica antisemita (nonostante il seguito che i fasci ebbero tra gli ebrei italiani, sol che si pensi al grande antichista Arnaldo Momigliano) ma chi autorizza il politico, il giurista, il maître-à-penser dei giornaloni, a farsi storico? Ai comunisti che, in buona fede, si dissociano dallo stalinismo e lo ritengono un tradimento rispetto a Marx e a Lenin, diremo che, in realtà il totalitarismo era connaturato a Rousseau e all’ideologia giacobina che indubbiamente ispirarono il Manifesto del partito comunista del 1848? Lo riteneva un grande storico Jacob L. Talmon (v. la sua opera magistrale Le origini della democrazia totalitaria del 1952) ma perché dovrebbero pensarlo i custodi delle istituzioni che credono ai comunisti, quando questi dichiarano la loro estraneità ideale ai gulag e allo stalinismo? Si pretende forse che siano tutti d’accordo con Talmon e che la loro lealtà costituzionale venga accertata da un esame di storia moderna e contemporanea?

Il copione si rinnova oggi con la guerra in Ucraina. Ormai è caccia aperta ai ‘putiniani d’Italia’ e fioccano i richiami all’indelebile antiamericanismo anche da parte di politici e giornalisti che di quell’antiamericanismo in passato hanno dato un massiccio contributo di idee e… di cortei. È proprio vero che, nel nostro paese, la vergogna è stata da tempo messa al bando. Alle innumerevoli voci (non proprio) bianche di questo coro — v. il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa con i suoi satelliti regionali, La Ragione, Il Foglio etc. etc. — vogliamo chiedere, sulla linea del ‘non basta’: se si considera (come considero io) Putin un gangster internazionale, l’aggressore di uno stato sovrano, un cinico giocatore sulla scacchiera internazionale, si è tenuti a sottoscrivere le visioni apocalittiche di una civiltà occidentale, democratica e liberale, minacciata dall’eterno dispotismo orientale?

Chi non sta con Angelo Panebianco, Antonio Polito, Giuliano Ferrara, Adriano Sofri etc etc. diventa una quinta colonna del nuovo Ivan il terribile? A scanso di fraintendimenti (che non mancheranno), gli argomenti usati contro i ‘pacifisti’ hanno un loro peso e vanno considerati seriamente: si vis pacem para bellum, bisogna procurare tante e così gravi perdite ai russi da indurli a sedere al tavolo della pace, i discorsi ufficiali del Cremlino non lasciano intravedere vie di uscita etc. etc. Ma da qui se ne deve dedurre che quanti non sono del tutto convinti di tali argomenti – e pensano, ad es., che se un rapinatore armato entra in una banca e minaccia di uccidere tutti e far saltare il locale è meglio venire a patti—sono persone scriteriate se non in malafede? Qualcuno ha scritto ironicamente, riportando i discorsi dei presunti putiniani’: “Ma davvero vogliamo rischiare l’olocausto nucleare per non voler cedere la Crimea a Mosca e non fare del Donbass l’Alto Adige ucraino?” E se così fosse, ammesso  e non concesso che Putin se ne accontenterebbe?

Forse non si ha presente che Crimea e Donbass non sono regioni omogenee dal punto di vista etno-culturale, come sarebbero un Lazio e una Toscana qualora venissero invase da un rinato Impero austroungarico. È la tragica convivenza tra popoli diversi che scatena le guerre e la seconda guerra mondiale ne è un esempio. “Sui libri di storia – si legge ne La Ragione – c’è la vicenda dei Sudeti consegnati alla Germania hitleriana: forse converrebbe tornare a consultarli”. Certamente ma soprattutto per rendersi conto che l’annessione dei Sudeti (4 milioni di tedeschi) alla Cecoslovacchia fu uno dei tragici errori della infelice  Pace di Versailles, in violazione, tra l’altro, del principio di nazionalità fatto valere dal presidente Woodrow Wilson.(a tali violazioni non si sottrassero gli italiani, quando occuparono l’Alto Adige tedesco, briciole del pingue bottino di guerra assegnato agli altri vincitori della  Grande Guerra).

Forse è venuto il momento di dare un taglio alla caccia alle streghe e allo stanamento dei putiniani sotto mentite spoglie democratiche. Le ‘buone ragioni’ stanno sia  dalla parte degli occidentalisti che vorrebbero piegare l’orso russo sia di quanti mettono in guardia (Silvio Berlusconi, Vittorio Sgarbi, Matteo Salvini etc.) da retoriche che allontanano la pace. L’Occidente significa ragione e dialogo e accusare chi non la pensa come noi di ‘distorcere “ideali e appartenenze”, significa fuoruscirne, scegliendo la via della crociata.

Per approfondire:

Un ultimo invito a opinion makers come Antonio Polito (ma non solo lui). E se la piantassimo di fare gratuita ironia sullo ‘scontro di civiltà’(ma non è il titolo del saggio di uno dei grandi scienziati politici del nostro tempo, il compianto Samuel P. Huntington?) o sulla “consistente fetta di opinione pubblica che ha ereditato dalla cultura cattolica e da quella comunista un’istanza morale anti-capitalistica, contraria all’individualismo, ostile all’american way of life, convinta che il valore dei popoli non sia dato dal loro successo economico ma dalla loro unità mistica, perché le società non sono meccanismi ma organismi..”? È lecito o no diffidare del modello americano, come faceva il più grande filosofo politico italiano della seconda metà del 900, Augusto Del Noce? O bisogna pensare che l’anti-americanismo non si richiama ad alcun valore rispettabile e che è soltanto l’espressione  di un paese arretrato, provinciale, nemico giurato della modernità?

Di questo neo-illuminismo se ne ha  davvero abbastanza anche perché potrebbe attivare reazioni che distruggerebbero le grande conquiste del secolo di Voltaire: la libertà di pensiero (oggi non a caso insidiata dal politicamente corretto), l’autonomia dello spirito, la ricerca scientifica non vincolata ai dogmi, il diritto di ciascuno a vivre sa vie.

E non si tratta solo di cultura. Basta leggere un manuale di storia contemporanea per rendersi conto che la politica estera degli Stati Uniti è stata spesso un disastro irrimediabile, di cui per chissà  per quanto tempo porteremo ancora il peso. E non solo nel Medio Oriente dove la casa Bianca ha portato il caos, la morte, i genocidi, come conseguenza di rottura di antichi equilibri faticosamente raggiunti nelle aree più calde. Uno stimato collega liberale (anzi liberal) al quale ricordavo tutto questo, mi rispose tempo fa “Tutto vero, ma sono gli unici americani che abbiamo”.

Credo che il collega avesse sostanzialmente ragione e che, volere o volare, dobbiamo fare i conti con la grande potenza atlantica che con la Nato continua a garantire la nostra sicurezza. Ma questo ci condanna al destino di yes men e di portaborse? All’Europa non è accordata la libertà di esporre il proprio punto di vista, che non sempre è detto che coincida con quello statunitense? Gli Stati, come ricordava Benedetto Croce, sono leviatani dalle viscere di bronzo, i cui interessi possono divergere e quando si pongono al servizio di ideali umanitari è perché la difesa di questi si accorda con i loro corposi interessi. (Gli Stati Uniti ci salvarono, sì, dal giogo nazista—e per questo meritano eterna gratitudine—ma lo avrebbero fatto senza l’incubo di una Fortezza Europa in mano a Hitler e libera di riversarsi a est, verso le terre dei sub-umani popoli slavi?).

Non viviamo certamente in un paese totalitario, sotto il profilo delle istituzioni politiche e delle garanzie giuridiche, ma il totalitarismo si è insediato nelle menti, nella cultura ufficiale, nelle scuole e si converte – lo vediamo ogni giorno – nel mancato rispetto dell’altro, di chi  non la pensa come noi. Tra i giornalisti più noti   non ce n’è uno che cerchi di comprendere i cosiddetti putiniani, che non ipotizzi, neppure per un attimo, che tra i loro argomenti ce ne possano essere di quelli da prendere in seria considerazione.

“Non ci può essere un posto della guerra nei rapporti di quelle comunità che condividono istituzioni democratiche rappresentative, economie di mercato e società aperte, ha scritto Vittorio E. Parsi sul Foglio del 24 febbraio, Dopo un anno di guerra. Con l’Ucraina, tutti più forti.” La pace passa attraverso la democrazia e non viceversa, per cui fintano che ci saranno dispotismi, le democrazie saranno sempre esposte alla potenziale minaccia di aggressioni da parte delle non-democrazie e dovranno sempre difendersi”. Chi non condivide questa antica vulgata—su cui già ironizzava  tre secoli fa Alexander Hamilton nei suoi saggi sul Federalist (1788)—dimostrerebbe una cosa sola: di essere un incallito putiniano! Più pensiero unico di così!

C’è qualche scienziato politico che è arrivato a lamentarsi dell’eccessivo spazio dato, nelle tv, ai ‘putiniani’ d’Italia: non me n’ero mai accorto, pur vedendo spesso gli incriminati talk show. Un accademico, Sofia Ventura, in un articolo su la ’Nazione’ del 29 gennaio u.s. si doleva per la mancata partecipazione di Zelensky al Festival di Sanremo, prendendosela con chi ne voleva tener fuori la politica. ”Ascoltare quanti si crucciano per la tranquillità turbata o la percezione degli spettatori deviata da un racconto di guerra fuori contesto ricorda || chissà perché || Maria Antonietta e le se brioches”. Stando a questo ‘stile di pensiero’, non mi è consentito, se compro un biglietto per assistere a uno spettacolo pensando di svagarmi, esigere di non sentire appelli umanitari e testimonianze di tragedie che voglio dimenticare proprio mettendo piede a teatro. Negli ‘anni formidabili’ della conte-stazione, il pianista Maurizio Pollini interruppe il concerto di Chopin che stava eseguendo per leggere un proclama di solidarietà col Vietnam invaso dall’esercito americano. Pollini era (è) un grande artista e, forse,  non aveva mai sentito parlare del liberalismo come ‘arte della separazione’. Il caso di Ventura è diverso.

Uno scienziato politico, lungi dall’ unirsi alla caccia grossa ai putiniani, dovrebbe guardarsi dall’incriminare, per il mancato show di Zelensky, “l’ostilità verso di lui della nostra opinione pubblica, complici una forte tradizione liberale e antioccidentale e la penetrazione della propaganda russa”. Quantum potuit religio! E le religioni secolari ancor più di quelle tradizionali…

Dino Cofrancesco, 26 febbraio 2023

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