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Il dilemma dei caccia all'Ucraina – Redazione

Se ci fosse modo di tornare indietro di un anno ci accorgeremmo che i Paesi occidentali scesi in campo al fianco di Kiev avevano posto due condizioni: la prima, di non colpire il territorio russo; la seconda, non fornire cacciabombardieri né garantire una No Fly Zone. In sintesi, l’obiettivo dei vari Biden, Macron e Scholz era quello di aiutare l’Ucraina a difendersi cercando in tutti i modi di evitare che il conflitto si allargasse a dismisura o, peggio, che coinvolgesse direttamente la Nato. Da quei giorni ne è passata di acqua sotto i ponti. Zelensky partecipa ai vertici dell’Alleanza Atlantica, ha avviato le procedure per entrare in Ue, di trattati di pace non parla più nessuno e Kiev ha colpito eccome in territorio russo. Di più: si fa sempre più concreta l’ipotesi che, oltre ai missili a lunga gittata e ai tank, dalla Nato arrivino anche i caccia che Kiev richiede ormai da tempo.

La pressione su Biden è enorme e questa si riflette a cascata sugli alleati. La visita di ieri del presidente americano a Kiev, un blitz inatteso in occasione dell’anniversario della rivoluzione di Euromaidan, segna un cambio di passo notevole. Certifica la vicinanza fisica degli Usa a Zelensky, tanto vicina da rischiare l’incolumità del presidente in un territorio su cui gli americani non hanno né il controllo aereo né quello di terra. Biden e Zelensky hanno fatto le foto di rito e si sono mostrati al mondo. Ma hanno anche discusso di questioni pratiche, ovvero di armi. Washington invierà altri 500 milioni di dollari di aiuti militari, tutto quello che servirà “nei prossimi mesi” per “avere successo sul campo di battaglia”. Di cosa si tratta? Di sicuro arriveranno equipaggiamenti militari, munizioni di artiglieria, armi anticarro portatili e obici, ma secondo i media internazionali i due avrebbero anche discusso di armi a lungo raggio. E i caccia?

Il ministro Kuleba è convinto che prima o poi l’Ucraina li riceverà, anche e soprattutto grazie alla Gran Bretagna. In fondo l’obiettivo ormai non sembra più solo permettere all’Ucraina di “resistere” all’invasione russa, ma di riprendersi i territori perduti. Dunque prima o poi dovrà passare al contrattacco: se per difendersi può bastare la contraerea, per attaccare necessitano gli F-16. Oggi Biden e Zelensky ne hanno parlato, benché il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan, sia rimasto sul vago: “Credo che i due presidenti abbiano presentato le loro prospettive riguardo ad una serie di diverse capacità di cui sta parlando la stampa, sia recentemente che nei mesi scorsi, e mi fermerei qui”. Come a dire: nulla di ufficiale, almeno non adesso. Ma il tema è sul tavolo e vanno superate alcune resistenze. Tipo quelle italiane.

Se gli Usa non hanno ancora deciso, è difficile immaginare che Giorgia Meloni oggi possa offrire i caccia italiani a Kiev. Alcuni giornali hanno diffuso la notizia secondo cui l’Italia sarebbe pronta a mandare 5 aerei da combattimento, per la precisione alcuni Amx e dei Tornado. Unica condizione: fare in modo che il Belpaese non sia il primo a fornire aerei militari, ma che la decisione venga presa da tutti gli alleati Nato. La ricostruzione al momento non è stata confermata dal governo e anzi è stata prontamente smentita dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani: a margine del Consiglio europeo di ieri, il politico azzurro ha spiegato che non si è parlato di caccia, così come non se ne è discusso nel Consiglio dei ministri italiano “perché abbiamo sempre mandato armi di tipo difensivo”. “Nel caso dovremmo coordinarci con gli alleati – spiega oggi alla Stampa – perché non ha senso consegnare agli ucraini modelli diversi. Poi c’è il problema di addestrare i piloti”. Insomma, a Tajani semmbra “praticamente impossibile che vengano inviati caccia italiani“. Il Belpaese sta per fornire un sistema di difesa aerea e anti missilistica Samp-t in accordo con la Francia. Cosa ben diversa dagli aerei da combattimento.

Certo, va detto che qualche mese fa era impensabile addirittura l’invio di carri armati di fattura occidentale, come i Leopard, che adesso invece i militari ucraini si stanno addestrando ad utilizzare (“imparano in fretta”, ha assicurato il ministro della Difesa tedesco). Dunque nulla è da escludere. Dal punto di vista italiano, al momento è più probabile che Roma assicuri solo il “via libera” all’invio dei Typhoon: si tratta di un gioiellino prodotto da un consorzio di cui fanno parte Gran Bretagna, Spagna, Germania e Italia. Per poterlo inviare a terzi occorre l’autorizzazione di tutti. E Meloni non sembra intenzionata a mettersi di traverso.

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