Per il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, Liguria e Piemonte potranno dare una enorme mano alla transizione dal motore a scoppio all’auto elettrica per gli immensi giacimenti di cobalto e litio. Annunci che hanno destato domande e perplessità… Fatti, parole e polemiche
Quel titolo, ministro del made in Italy, rischia di dare alla testa ad Adolfo Urso, secondo cui, a dispetto di quanto dicono i dati, l’Europa e in particolare l’Italia rischiano di perdere la partita delle auto elettriche per un semplice motivo: non abbiamo terre rare e beni strategici per lo sviluppo delle batterie. Ma anche avessimo miniere a profusione, ne servirebbero molte altre.
Lo sostiene l’ultimo studio della società di ricerche londinese Benchmark Mineral Intelligence, nota anche come Benchmark Minerals, fondata da Simon Moores nel 2014. Si tratta un’agenzia di reportistica sui prezzi regolamentata IOSCO che effettua studi sulla filiera delle batterie agli ioni di litio per la catena di fornitura dei veicoli elettrici. Secondo il report, per soddisfare una domanda crescente di batterie per veicoli EV, sospinta dalle norme che potrebbero essere varate in Europa e negli USA per bandire le motorizzazioni endotermiche, serviranno quasi 400 nuovi siti minerari.
In particolare, si stima che, entro soli 12 anni, ci sarà la necessità di avviare almeno 384 complessi di estrazione per la grafite, il litio, il nickel e il cobalto. La forbice si chiude ottimisticamente a 336 ipotizzando che possa essere attuata una campagna seria di riciclaggio dei vari materiali. Scendendo nel dettaglio, per la grafite naturale, oggi estratta in oltre 70 siti per la maggior parte in Cina e Africa, sarà necessario aprire un centinaio di nuove miniere, 97 per la precisione, secondo lo scenario che ipotizza una capacità estrattiva media di 56 mila tonnellate l’anno e un contributo nullo da parte delle attività di riciclo. Serviranno poi 54 impianti da 57 mila tonnellate l’uno per la produzione di grafite sintetica. Questo perché gli anodi delle batterie sono realizzati con una miscela delle due sostanze.
La Cina, è noto, s’è mossa con lungimiranza divorandosi il sottosuolo africano, ricchissimo di terre rare e giacimenti strategici. Il Vecchio continente ha continuato a dormire, legandosi mani e piedi a una filiera internazionale che potrebbe riservare sorprese analoghe a quelle della crisi dei chip e comunque in perenne balia degli umori del mercato e delle tensioni geopolitiche.
“SIAMO I PRIMI PER COBALTO”
Ostenta sicurezza invece Urso, certo di poter nazionalizzare l’approvvigionamento, secondo quanto ha detto al convegno romano sul futuro dell’automobile nella sede del Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (a partire dalla terza ora del dibattito): “Siamo i primi in Europa per cobalto”, dice il ministro, a proposito di uno dei minerali strategici più ricercati.
E’ così? Vediamo. Ci sono alcune vecchie miniere in Piemonte (Startmag ne ha parlato qui), che Altamin, multinazionale mineraria australiana che porta avanti pochi progetti mirati – soprattutto ricerche, rilievi –, presente in Italia da tempo, anche attraverso le controllate Strategic Minerals Italia Srl ed Energia Minerals Srl, intende sondare per capirne la portata. Il Progetto Punta Corna ha radici in un luogo storicamente noto per le estrazioni di cobalto, nichel, rame e argento. I recenti campionamenti di Alta, ha fatto sapere tempo fa il gruppo, hanno restituito saggi di alto grado su una lunghezza di oltre 2 km da vene multiple sub-parallele, con un buon potenziale per la scoperta di ulteriori vene mineralizzate e una significativa estensione in profondità.
Qui la speranza sarebbe trovare soprattutto cobalto – e non è detto che sia in quantità sufficiente ad avviare il giacimento -, dato che quasi tre quarti della produzione mondiale avviene nella Repubblica democratica del Congo dove Amnesty International e altre associazioni denunciano le condizioni critiche in cui, nelle miniere a conduzione locale (il più è invece in mani cinesi) sono costretti a lavorare i minatori, spesso minori, trattati a stregua di schiavi.
In Piemonte Altamin si muove su basi storiche: il minerale veniva estratto in queste zone già nel Settecento e usato come pigmento per stoffe e opere d’arte. Difficile però dire sulla base di ciò che le vene che corrono sotto le Alpi siano sufficienti al fabbisogno della rivoluzione industriale che stiamo per abbracciare. Infine, Altamin ha presentato domanda di autorizzazione per il Monte Bianco e il Corchia (Toscana), i due distretti minerari storici più importanti d’Italia, ricchi di rame, cobalto e manganese. Difficile però affermare che questo basti a renderci i primi in Europa, come detto dal ministro.
URSO HA TROVATO IL LITIO IN LIGURIA
Ma, soprattutto, Urso parla dl litio, minerale essenziale per le batterie (terza ora del convegno, minuto 8): “Il più grande giacimento di litio in Italia – dice, aggiungendo un ‘credo’ prima di proseguire – è in un parco minerale in Liguria”. Magari, direbbero i liguri, proverbialmente affezionati alle palanche, ovvero al soldo: se così fosse, vista l’importanza di quel minerale nel mercato non solo dell’auto elettrica, ma anche degli smartphone, laptop e tablet, oggi Genova sarebbe di nuovo la Superba, variante 2.0 e tutta mediterranea dei sauditi e dei loro giacimenti di petrolio.
Eppure non sembra esserci litio in Liguria, né a ponente né a levante. Con ogni probabilità Urso fa riferimento al giacimento di Piampaludo, nel parco del Beigua, in provincia di Savona, tra i comuni di Urbe e Sassello, ricco di titanio, minerale prezioso per la produzione di plastica, smalti, vernici, carta, vetri, materiali ceramici. Il Secolo XIX fa notare che esiste anche una batteria litio-titanato, le cui prestazioni però sono di gran lunga inferiori a quelle della batteria agli ioni di litio. Così il quotidiano genovese titola: “Il ministro Urso scopre il litio in Liguria: “È il più grande giacimento d’Europa”. Ma si confonde con il titanio”.
GIACIMENTI DI ANTIMONIO E TITANIO
Tuttavia le terre rare ci sono pure da noi, questo è vero. «Abbiamo una cassaforte piena di ricchezza sepolta nel terreno e non la tiriamo fuori» aveva infatti spiegato spiegato all’Ansa una decina di anni fa Mattia Pellegrini, responsabile per le materie prime nella Commissione europea parlando di antimonio e titanio. «Nel 2011 abbiamo pubblicato – aveva raccontato Pellegrini – una lista delle materie da cui dipendiamo per tutte le tecnologie, e alcune di queste le importiamo al 100%».
Sempre Altamin si sta recentemente scontrando con le popolazioni delle valli dell’estremo levante ligure Graveglia, Gromolo, Petronio e Vara, ma non perché è in cerca di litio, ma di rame, piombo, manganese, zinco, argento, oro, cobalto, nickel e minerali associati in diversi siti della zona, tanto da aver spinto la Regione Liguria a sedersi a un tavolo coi sindaci interessati, come ricordammo qui. L’area interessata dalla ricerca è molto vasta, circa 8 mila ettari, e interseca i territori dei comuni di Sestri Levante, Né, Casarza Ligure e Castiglione Chiavarese: non si scaverà in questa fase, viene sottolineato nel progetto, ma si partirà da una valutazione “storica” delle vecchie miniere, circa una decina, già presenti nell’area, a cui si aggiungeranno campioni di rocce affioranti, acque dei torrenti e sondaggi elettromagnetici capaci di fornire una “ecografia” delle rocce in profondità.
Insomma, diverse compagnie stanno setacciando il nostro suolo, concentrandosi soprattutto sui siti abbandonati, ma finora non sono stati avviati progetti di rilievo, non si sta nemmeno scavando ed è perciò troppo presto per dire che siamo seduti su alcuni dei principali giacimenti strategici di cobalto e litio del Vecchio continente. Come abbiamo visto, le terre rare sono altre e, nonostante se ne parli da anni, nulla s’è comunque mai mosso. Perciò, salvo a Roma non abbiano altre informazioni mai rese note prima, non è vero.
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