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Eppur si muove, cosa è stato deciso sulla gigafactory di Termoli

La gigafactory di Termoli compie un ulteriore passo in avanti: verso la fine del prossimo anno avrà inizio il reskilling della forza lavoro per partire entro gennaio 2026. Ma i sindacati sono guardinghi

La prima gigafactory italiana dell’era dell’auto elettrica (al momento pure l’unica, considerata la triste fine dell’impianto emiliano di Silk-Faw e la palude in cui è finito quello che Italvolt ora non vuole più costruire a Ivrea), ovvero quella che Automotive Cells Company, joint venture formata da Stellantis, Mercedes e Total intende realizzare nello stabilimento ex Fiat di Termoli compie un ulteriore passettino avanti.

Anche perché, benché in merito si attenda ancora il nulla osta della Ue sugli aiuti di Stato, il progetto avrà un forte co-finanziamento del governo, che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) aveva stanziato circa 600 milioni di euro per la costruzione della gigafactory adibita alla produzione di batterie per auto elettriche, cifra che poi potrebbe crescere fino a 1 miliardo grazie agli investimenti di partner industriali privati.

IL CRONOPROGRAMMA: SI PARTE NEL 2026, PIENO REGIME NEL ’28

L’incontro tra i vertici di ACC e i sindacati che rappresentano i lavoratori dello stabilimento di Termoli, è servito per far luce sul cronoprogramma che porterà alla produzione di accumulatori per veicoli elettrici per un impiego a regime di 1.800 addetti.

Verso la fine del 2024 dovrebbe iniziare la fase di addestramento e formazione del personale. Si dovrà partire tra meno di tre anni, nel gennaio 2026, quando i primi 600 lavoratori varcheranno i cancelli, con la fase di avvio che durerà dodici mesi.

A distanza di un anno partirà la seconda che che porterà a raddoppiare la manodopera impiegata, aggiungendo altri 600 addetti. Infine, secondo i calcoli di ACC, dal 2028 si arriverà a regime della quinta gigafactory di Stellantis (le altre sono dislocate tra Germania, Francia e Nordamerica) e la terza di ACC (Termoli si aggiunge a quelle di Billy Berclau e Kaiserslautern) l’occupazione del sito crescerà ulteriormente per garantire una produzione di 40 gigawattora complessivi, che impiegherà 1.800 persone.

I TIMORI DEI SINDACATI SULLA GIGAFACTORY DI TERMOLI

Insomma, finalmente una gigafactory italiana con la strada in discesa? Non proprio. Perché attualmente Termoli impiega oltre 2mila unità mentre il sito che ACC intende costruire ne prevede duecento in meno. Per questo Fim, Fiom, Uilm, Fismic, UglM e AqcfR pur accogliendo favorevolmente il fatto che il sito abbia un futuro, restano scettici.

“Innanzitutto – si legge in una nota congiunta delle sigle sindacali – chiediamo continuità lavorativa nel passaggio fra Stellantis e ACC, in modo da assicurare occupazione, salario e trattamenti costanti. Inoltre occorre coinvolgere le istituzioni per chiedere ammortizzatori sociali e formazioni a Governo e Regione Molise”.

“Proprio perché come sindacato abbiamo fatto pressioni per ottenere l’investimento – è la rivendicazione di Fim, Fiom, Uilm, Fismic, UglM e AqcfR-, ora chiediamo alle imprese e alle istituzioni coinvolte coerenza e responsabilità. Di conseguenza chiederemo la convocazione di un tavolo ministeriale, con la presenza di tutti i soggetti coinvolti, per individuare strumenti volti a garantire tutte le soluzioni di tutela e occupazionali di tutti i lavoratori”.

E LE ALTRE GIGAFACTORY ITALIANE?

Ma, dubbi sindacali a parte, quella di Termoli al momento resta l’unica gigafactory prevista nel nostro Paese. Le altre due in via di realizzazione, infatti, sono andate arenandosi. Silk-Faw non solo ha perso i fondi della Regione Emilia Romagna, stanca di aspettare e stufa dei continui rinvii da parte della dirigenza ma, secondo il Resto del Carlino, dovrà vedersela pure con una inchiesta della Guardia di Finanza di Reggio Emilia che starebbe indagando per tentata truffa aggravata ai danni dello Stato nei confronti della joint venture. L’indagine sarebbe emersa a seguito di un blitz delle Fiamme Gialle presso gli uffici romani di Invitalia, l’agenzia governativa responsabile dell’erogazione di finanziamenti per iniziative industriali.

Gli inquirenti, si apprende da fonti di stampa locali, avrebbero già passato al vaglio i bilanci dell’azienda e il giro di finanziamenti con altre società collegate, tra cui alcuni trasferimenti transitati per le Isole Cayman, con l’obiettivo di accertare la sussistenza di un’eventuale ipotesi di riciclaggio.

Sempre meno concreta pure la gigafactory piemontese di Italvolt. Che fosse impantanata, avendo subito diversi rallentamenti che la stessa realtà aveva in un primo momento attribuito all’improvviso avvicendamento a Palazzo Chigi della scorsa estate, lo si sa da tempo. Ma solo nell’ultimo periodo l’imprenditore dietro al progetto, Lars-Eyvind Carlstrom, classe 1965, nato a Lulea, seconda città della Svezia per abitanti (poco più di 50mila), alle porte della Lapponia, ha lasciato intendere i suoi dubbi sulla possibilità di portare avanti il progetto.

«In quell’area – ha spiegato il manager alla Stampa – c’è un grande problema che riguarda la connessione alle rete elettrica degli impianti. Dobbiamo assicurarci che il sito possa ospitare le funzionalità di cui abbiamo bisogno, una fabbrica come la nostra consuma una quantità enorme di energia, stimiamo fino all’1% di tutta l’energia elettrica disponibile in Italia, per cui l’infrastruttura deve essere all’altezza. Ma ci troviamo in una situazione in cui la connessione alla rete potrebbe richiedere fino a quattro anni di lavori per essere raggiunta: noi non abbiamo tutto questo tempo perché la produzione, secondo i nostri piani, deve partire nel 2025. Stiamo lavorando per capire se è possibile accelerare i tempi e cosa possiamo fare ma non abbiamo rinnovato l’accordo con Prelios: di conseguenza non abbiamo più l’esclusiva sul sito».

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