In Afghanistan alle donne l’Università, come gran parte dell’istruzione e di molti altri diritti, è negata. L’Iran sembra andare sulla stessa strada. Il ministero dell’Istruzione dell’Iran ha annunciato che non saranno forniti servizi alle studentesse che «non si attengono al codice di abbigliamento delle scuole».
A dare la notizia è stato il portale di dissidenti iraniani Iran International. Anche le università legate al ministero della Salute non forniranno servizi alle studentesse che non utilizzano il velo, obbligatorio in pubblico per le donne dalla fondazione della Repubblica islamica nel 1979.
Proprio dalle Università è partita gran parte della protesta dei mesi scorsi, seguita alla morte di Mahsa Amini, morta in seguito alle botte dopo essere stata arresta dalla polizia religiosa perché non indossava correttamente il velo. Molte donne hanno bruciato pubblicamente il velo e hanno mostrato i loro capelli in pubblico.
Nel comunicato del ministero della Scienza, Ricerca e della Tecnologia, si dice anche che le allieve sono invitate a «mantenere la castità e l’hijab nell’ambiente universitario». In tutte le università e i centri di istruzione superiore sotto la supervisione del Ministero «è vietata l’erogazione di servizi educativi, assistenziali, alle poche studentesse che non si adegueranno alle norme e ai regolamenti».
Secondo Ong per i diritti umani come Iran Human Right negli ultimi 6 mesi ci sono stati quasi 600 vittime della repressione della polizia e circa 19000 arrestati con 5 condanne a morte per impiccagione. Non c’è però solo questo. L’istruzione femminile è stata attaccata più volte. I casi più eclatanti sono una serie di avvelenamenti: sono più di 5000 i casi accertati in scuole di 26 province del Paese.
I genitori hanno protestato e chiesto spiegazioni. Qualche settimana fa il viceministro della Salute Youness Panahi ha rivelato l’intenzionalità degli avvelenamenti, perché «è emerso che alcuni individui volevano che tutte le scuole, soprattutto quelle femminili, fossero chiuse».
L’avvelenamento sarebbe stato causato da «composti chimici disponibili non per uso militare, e non è né contagioso né trasmissibile». Serviva a evitare che le bambine riuscissero ad andare a scuola. Scuole e università sono i luoghi in cui nasce il dissenso in Iran e chiuderle, come hanno fatto i talebani in Afghanistan, è un metodo di repressione. I ministeri dell’intelligence e dell’istruzione hanno fatto sapere che stanno collaborando per trovare la fonte dell’avvelenamento. Fra i dissidenti c’è però chi ipotizza che ci sia proprio il governo dietro questi fatti.
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