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Incontro a tu per tu con James Dyson (sì, lui, quello dell'aspirapolvere e del phon)

Non è semplicissimo dire che mestiere faccia Sir James Dyson. Certo, dicendo inventore non si sbaglia. Ma non si sbaglierebbe nemmeno a dire imprenditore o designer, «basta che non mi chiamiate business man: non sono l’industriale che accumula soldi, ma semmai una persona che si impegna a costruire qualcosa».

Determinato, con uno spirito guerriero, inglese, classe 1947, è famoso nel mondo intero per i suoi aspirapolvere dalla forma futuristica (i primi a non avere quell’odioso sacchetto), anche se ora sono l’asciugacapelli Supersonic e lo styler Airwrap, capaci di fare pieghe perfette, ad andare a ruba, oggetti del desiderio di una qualunque ragazza dopo i 14 anni.

Di recente, nel libro Invention (Rizzoli, 396 pagine), ha raccontato la storia delle sua vita, dei suoi successi e pure dei suoi fallimenti, di cui ci tiene a sottolinearne l’importanza: «Si impara di più – e in modo viscerale – sperimentando e fallendo continuamente: l’insuccesso spinge a esaminare e a superare il problema».

Lo incontriamo a Parigi, al Palais de Tokyo, il più grande centro per l’arte contemporanea d’Europa: l’hanno invitato perché le sue invenzioni, che pure vogliono battere i concorrenti per le performance tecnico-funzionali, sono ormai assurte a pezzi d’arte, sculture ingegneristiche, con un nucleo hi-tech e un’allure creativa.

Ma se lei dovesse dire che cos’è il design, come lo definirebbe?
«Stante che ognuno ha la sua visione, per me il design è tecnologia + ingegneria + ergonomia + qualità + piacevolezza dell’utilizzo + bellezza. E oggi aggiungerei pure la sostenibilità. Per me il design è tutte queste cose insieme».

Ai più giovani che volessero seguire i suoi passi, che consiglio darebbe?
«Una volta pensavo che l’esperienza fosse importante, ma ora credo che l’esperienza in realtà sia una gabbia, un’inibizione da cui è difficile fuggire. Oggi il mondo cambia così rapidamente che essere liberi dall’esperienza può essere, inaspettatamente, un vantaggio. Più che seguire dei passi direi di andare controcorrente, partire da un punto diverso rispetto a quello da dove sono partiti gli altri. Se si vuole fare i pionieri, occorre avventurarsi nell’ignoto. Stay young!».

Ma lei da che cosa si è fatto ispirare? Nei suoi studi classici ha mai avuto un filosofo di riferimento? Un libro-guida?
«Tante cose mi hanno ispirato: penso alla Mini e al suo design innovativo, penso alle sospensioni autolivellanti della Ds della Citroën o alle forme del Concorde, il primo aereo passeggeri commerciale supersonico, con le sue ali a delta e il muso a forma di ago. Però no, non ho mai avuto un filosofo di cui ho sposato i pensieri anche se potrei dire che la filosofia mi accompagna al lavoro ogni giorno. E se dovessi indicare un libro che mi ha guidato, credo che direi la Bibbia, ma, in generale, ho una passione assoluta per i libri  di storia».

Lei ha accumulato molti successi, ma con la sua automobile EV, di cui ha deciso di bloccare la produzione, qualcosa è andato storto…
«Per anni ci siamo impegnati a fare una macchina elettrica e certo è stata una decisione difficile quella di abbandonare l’idea, ma le condizioni, rispetto a quando abbiamo iniziato a studiarla, sono cambiate completamente. Eravamo ambiziosi, tanto più che volevamo fare tutto da soli. Peccato che, nel frattempo, molte case automobilistiche abbiano deciso di buttarsi sull’elettrico e noi saremmo usciti sul mercato con un prodotto poco competitivo dal punto di vista commerciale. Ne siamo usciti tutti con il cuore spazzato, ma sarebbe stato insensatamente rischioso andare avanti».

La cosa che ha fatto di cui va più fiero?
«Beh, i miei tre figli! C’è Emily la stilista, Jake che fa il designer e lavora in azienda, e Sam che è musicista. O forse parlava di prodotti? Allora in questo caso, direi il vacuum cleaner, l’aspirapolvere con tecnologia ciclonica».

Adesso si è messo a fare anche il «farmer», il coltivatore. Di che si tratta?
«Ecco, non mi definirei mai un coltivatore, non posso dire di avere l’agricoltura nel sangue, però è vero che oggi ho più di quattordicimila ettari di terreno agricolo e che lì coltiviamo fragole e piselli. È da dieci anni che studio e ora siamo sul mercato con delle buone fragole, che crescono in modo sano: mi piace pensare di proporre un cibo che rispetta la natura e che ha un buon gusto. Purtroppo molta gente non sa molto di ciò che mangia…».

Ma lei capisce subito se un’idea è una buona idea?
«Una buona idea non potrebbe dirsi tale se non dopo che ha superato tutti i test. È sempre un processo, che va avanti per esperimenti. Solo alla fine si capisce se è una buona idea, se funziona e se la gente la compra. Un’invenzione potrebbe essere geniale, ma inadatta o irrilevante per il mercato a cui è destinata».

I suoi prodotti sono anche belli a vedersi: che spazio ha l’estetica nella costruzione di un oggetto Dyson?
«Non credo nell’estetica per l’estetica: così, per esempio, i colori nei nostri prodotti sottolineano sempre le parti tecnologiche più importanti, non sono messi lì come decoro. I tocchi variopinti attirano l’attenzione su interruttori e fermi di sgancio».

Voi fate molto uso dell’Intelligenza artificiale?
«Assolutamente sì, la usiamo eccome: e quando parliamo di intelligenza artificiale parliamo di robotica, di machine learning, di motori di nuova generazione, di connettività e scienze dei materiali. L’intelligenza artificiale sta cambiando le cose, migliorerà la vita delle persone e darà una mano alla battaglia contro l’inquinamento».

In molti l’hanno criticata per aver sostenuto la Brexit, non si è pentito?
«Nel Regno Unito alcuni credono che uscire dall’Unione europea sia una scelta autolesionista, ma non sono assolutamente d’accordo e, no, non mi sono pentito. Credo molto nel potere di determinare la propria strada e oggi, anche dal punto di vista psicologico, mi sento più libero rispetto a prima. Il Regno Unito è in una posizione commerciale migliore di quella degli Stati membri dell’Ue. Abbiamo l’opportunità di far vedere quello che sappiamo fare» .

Suo figlio è già in azienda e lei ha compiuto i 75 anni: non pensa di ritirarsi?
«No, no, per niente. Io vado al lavoro tutti i giorni e tutti i giorni sto lì dal mattino alla sera».

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