Quella in Iran non è una rivoluzione, o forse non ancora: ecco punti di forza e debolezza delle proteste contro il regime di Teheran. L’analisi di Dario Fabbri, direttore della rivista Domino
L’ondata di proteste che travolge da oltre quattro mesi l’Iran e ha spinto il regime degli ayatollah ad un giro di vite che gli ha attirato condanne verbali ma anche concretissime sanzioni è il tema al centro del nuovo numero di Domino, la rivista di politica internazionale diretta da Dario Fabbri.
In questa intervista a Start Magazine, il direttore di Domino fa il punto su un movimento che, sottolinea Fabbri, non ha ancora assunto le fattezze di una rivoluzione ma preoccupa il governo di Ibrahim Raisi al punto da spingerlo a ricorrere ai metodi estremi delle impiccagioni e della tortura sistematica contro le migliaia di innocui manifestanti finiti dietro le sbarre.
Parliamo di ciò che sta accadendo in Iran dallo scorso 17 settembre, chiarendo anzitutto un punto: siamo di fronte a proteste o ad una vera e propria rivoluzione?
Per il momento si tratta di proteste; non siamo davanti a una rivoluzione perché, per stabilire che lo diventi, è necessario ovviamente vedere almeno un embrionale rovesciamento delle istituzioni che per ora non si registra.
Questa ondata di proteste è a quanto pare senza una vera leadership.
Sì, si tratta di proteste senza leadership, e un movimento che non ha una leadership definita quando si tratta di una potenziale rivoluzione è ovviamente in difficoltà ma non necessariamente questo ne determina il fallimento. Eppure si tratta per il momento di una ondata di proteste che non ha una guida riconoscibile.
Come si configura dunque il movimento e quali sono i suoi punti di forza e di debolezza?
I punti di forza sono di intercettare alcune istanze della popolazione; si tratta di proteste ben più complesse di quanto noi riusciamo a vedere da qui ed è proprio questo che mettiamo a fuoco nel nuovo numero di Domino. La debolezza di questo movimento è di intercettare quelle istanze cui facevo riferimento ma solo in parte e di avere diversi filoni al proprio interno. C’è la protesta, quella eroica, delle donne che ha innescato tutto ciò che sta succedendo; e poi ci sono le rivendicazioni delle minoranze come i curdi, gli azeri e i baluci; c’è la stanchezza imperale avvertita da quella fascia di popolazione più impegnata tanto nelle operazioni militari all’estero quanto nel subire le sanzioni che l’estensione imperiale dell’Iran ha provocato. Tra i punti di debolezza, dunque, potrebbe esserci proprio questa eterogeneità delle istanze che compongono proteste molto diverse tra loro.
Mahsa Amini, la ragazza brutalmente uccisa dalla polizia morale, era curda, ma anche lo slogan più popolare delle proteste – “donna, vita, libertà – è curdo, così come nel Kurdistan iraniano si sono registrate massicce proteste.
Come dicevo prima, quello delle minoranze è uno dei filoni delle proteste. L’Iran è un impero e ha dunque un ceppo dominante che è quello persiano che governa assieme agli azeri, anche se gli azeri sono in posizione laterale. Non dimentichiamo che oggi in Iran vivono più azeri, ossia quindici milioni, di quanti ne vivano in Azerbaigian (dieci milioni circa). Ma se c’è qualcosa su cui tutti i persiani di tutte le età sono d’accordo è che è impensabile mettere sullo stesso piano le minoranze.
La componente giovanile delle proteste è molto forte e compatta. Quanto pesa il fattore età?
La componente giovanile, sì, è molto forte. Essa genera effetti sostanzialmente incomprensibili per noi in Occidente e specialmente in Italia dove questa componente è risicata. In Iran invece è numericamente immensa e i giovani tendono per attitudine anagrafica e antropologica a essere violenti. Quindi è impossibile che, se la protesta diventasse rivoluzione, essi creino uno stato post-storico alla occidentale come il nostro. Non a caso al centro delle istanze, anche delle donne, ci sono richiami preislamici allo zoroastrismo, all’impero achemenide, a Dario, a Ciro il Grande ecc.
Il regime in Iran ha avviato un giro di vite compiendo le prime esecuzioni. Le risulta che le proteste siano scemate di conseguenza, o non è così?
Difficilissimo dire da qui se le proteste siano scemate o meno. Possono essere carsiche e inabissarsi per poi riemergere più avanti. Non dimentichiamoci che, come capita nella maggioranza dei Paesi del mondo dove le elezioni in senso occidentale non esistono o sono una finzione, le proteste sono la forma classica di manifestazione del dissenso. Quindi, tornando all’Iran, si inabissano e riemergono puntualmente anche se possono sembrare scemate. C’è sempre la probabilità che poi ritornino.
Perché l’Europa, secondo molti europarlamentari, dovrebbe inserire i guardiani della rivoluzione tra le entità terroristiche?
Le istituzioni europee vogliono inserire, ameno questo sostengono alcuni europarlamentari, i pasdaran tra le organizzazioni terroristiche perché sono uno degli apparati che reprime in maniera durissima le proteste stesse, e dunque si immagina in questo modo di poter legittimamente influire sulla situazione. Dubito però che questa mossa avere un effetto nel fermare la repressione.
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