In Francia c’è la possibilità concreta che la riforma delle pensioni porti all’apertura di un ampio scontro tra istituzioni e piazza. Conversazione di Marco Orioles con Alberto Toscano, giornalista, saggista e presidente dell’Associazione della stampa europea in Francia
Lunedì prossimo la riforma delle pensioni voluta fortemente da Emmanuel Macron approderà all’Assemblea Nazionale dove le opposizioni hanno già annunciato battaglia facendosi forti delle imponenti manifestazioni svoltesi il 19 e il 31 di gennaio.
Per capire quali spazi di manovra il governo per fare approvare una riforma che innalzerebbe l’età pensionabile da 62 a 64 anni, Start Magazine ha sentito Alberto Toscano, giornalista, già corrispondente dalla Francia per diversi quotidiani italiani, saggista e presidente dell’Associazione della stampa europea in Francia.
Toscano, martedì scorso c’erano oltre un milione di persone in piazza e i sondaggi dicono chiaramente che l’opinione pubblica sta dalla parte dei manifestanti. La Francia proprio non la vuole questa riforma?
Esattamente, l’opinione pubblica francese è come minimo perplessa e probabilmente in modo più esplicito contraria alla riforma delle pensioni che è stata decisa dal presidente Macron dopo una situazione contraddittoria in cui Macron stesso si è messo.
Come stanno le cose?
La riforma delle pensioni è stata già approvata durante la scorsa legislatura, e il presidente Macron avrebbe dovuto solo fare in modo che la procedura in termini di decreti attuativi fosse completata perché questa riforma entrasse in vigore. Ma, nel suo discorso televisivo del marzo del 2020, al momento del Covid, Macron ha annunciato che quella riforma sarebbe stata per il momento sospesa a causa della situazione sociale, economica e anche psicologica creatasi con la pandemia. Nel frattempo però la legislatura è finita e l’anno scorso nel mese di aprile c’è stata la rielezione di Macron e poi a giugno le elezioni per l’Assemblea Nazionale ….
Elezioni in cui il partito di Macron ha perso la sua maggioranza parlamentare.
Proprio così, e quindi la grande differenza tra la scorsa legislatura e quella attuale è che nella scorsa legislatura Macron disponeva di una forte maggioranza assoluta e questa volta dispone solo di una maggioranza relativa. Nel momento in cui Macron nell’autunno scorso e poi con il discorso del 31 dicembre, in occasione degli auguri ai connazionali, ha annunciato la sua intenzione di rilanciare la riforma delle pensioni, si è messo in una situazione molto complicata, perché, essendo scaduta la vecchia legislatura senza che la legge approvata dal Parlamento entrasse in vigore e il suo iter venisse completato, bisognava partire da zero con un nuovo iter legislativo, e una nuova riforma. E questo iter legislativo si svolge in una atmosfera parlamentare in cui il governo è in grosse difficoltà non avendo la maggioranza assoluta. A questo contesto legislativo sfavorevole si aggiunge una naturale ostilità dell’opinione pubblica a una riforma che aumenta l’età pensionabile portandola da 62 a 64 anni. Ma c’è un’altra differenza rispetto alla legislatura precedente.
Qual è?
Le forze di opposizione si sono radicalizzate spostandosi verso le estreme: i due principali partiti di opposizione sono il Rassemblement Nationale di Marine Le Pen, all’estrema destra, e i melanchonisti de la France insoumiseall’estrema sinistra. Il contesto politico è dunque diverso rispetto alla precedente legislatura.
Però Macron, così pare di capire, potrebbe contare sul sostegno dei Republicains.
Il partito classico della destra neogollista dei Republicains è sempre stato favorevole all’idea della riforma delle pensioni e quando loro erano al potere, all’epoca della presidenza di Sarkozy, tra il 2007 e il 2012, fecero approvare una delle varie riforme delle pensioni che ci sono state in Francia negli ultimi decenni. Ma quella riforma appare oggi insufficiente davanti ai problemi dell’invecchiamento della popolazione e della difficoltà delle finanze pubbliche. Il problema però è un altro.
Quale?
Il fatto è che oggi i Republicains sono molto divisi tra di loro. E soprattutto essi si chiedono che interesse abbiano a salvare il governo che si è messo in una situazione così difficile davanti all’opinione pubblica. Da un lato in linea di principio potrebbero essere d’accordo su questa riforma, dall’altro i repubblicani ora sono comunque all’opposizione e allora si chiedono perché dovrebbero essere loro a togliere le castagne dal fuoco a Macron. Allo stato attuale il dibattito parlamentare è come paralizzato: la riforma è passata solo dalla Commissione dove non si è neanche arrivati ad esaurire la discussione. il testo non è stato approvato per l’enorme numero di emendamenti presentati dalle opposizioni. Quello che arriverà in aula la settimana prossima è dunque un testo che è lo stesso, identico testo varato dal governo senza le modifiche che normalmente vengono espresse in Commissione prima della discussione in aula.
Il governo a questo punto secondo lei potrebbe mettere la fiducia?
Molto probabilmente, vista la situazione in cui si sta infilando questo dibattito, Macron e la prima ministra Borne finiranno col mettere la fiducia. Ma la fiducia francese, quella prevista dall’articolo 49/3 della Costituzione, è molto brutale, molto più dura di quella italiana. Questo tipo di fiducia fa automaticamente approvare un disegno di legge senza voto del Parlamento. Le opposizioni poi hanno ventiquattro ore per proporre una mozione di sfiducia al governo che se fosse approvata costringerebbe il governo a dimettersi. Ma questo sistema è molto complicato per le opposizioni in quanto, si sa, è molto più facile aggregarsi su un no che su un sì. Ogni opposizione tende dunque a presentare la propria mozione di sfiducia. Se vuole le faccio l’esempio di adesso.
Prego.
Il governo farà passare la riforma con la fiducia. Poi nelle ventiquattrore successive Marine Le Pen presenterà la propria mozione di sfiducia, ma a quel punto quella mozione di sfiducia passerà solo se otterrà anche i voti di Mélanchon e dei Republicains, cosa che sembra improbabile. Al tempo stesso i melanchonisti presenteranno la loro, ma non si vede il motivo per cui Marine Le Pen debba votare la mozione dell’estrema sinistra. E in questo modo, dunque, Macron potrebbe farla franca e far passare la riforma con la fiducia.
Cosa succederebbe però poi con le piazze che ribollono?
L’ipotesi di una riforma approvata con la fiducia sarebbe socialmente dirompente, perché significherebbe di fatto impiegare una sorta di carro armato, ed è probabile che le proteste di piazza si acuirebbero. Per di più oggi in Francia c’è un’atmosfera di malcontento, per via dell’inflazione, dell’aumento del costo della vita. Inoltre le questioni poste dai gilet gialli quattro anni fa non sono ancora risolte. C’è quindi la concreta possibilità che si apra uno scontro tra istituzioni e piazza. Le manifestazioni che abbiamo visto in questi giorni potrebbero ampliarsi, e potrebbero esserci scioperi soprattutto nel settore pubblico.
Un settore dove il potere dei sindacati è enorme, vero?
Sì. In Francia il sindacalismo è forte nel settore pubblico e debole in quello privato. Nel settore pubblico la questione delle pensioni è particolarmente sentita perché i dipendenti del comparto dei trasporti beneficiano di un regime particolare che permette loro di andare in pensione prima dei 60 anni, più o meno intorno ai 57-58 anni. La riforma di Macron per loro sarebbe doppiamente penalizzante perché farebbe loro subire un aumento dell’età pensionabile dai 57 ai 64 anni. Per cui, se si andrà come sembra probabile verso uno scontro più ampio, ci sarà una paralisi dei trasporti pubblici e urbani e delle ferrovie.
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