Mentre al Festival di Berlino tuttora in corso tra le European Shooting Stars (consueta selezione di 10 giovani attrici e attori emergenti d’Europa) è spiccata anche la nostra Benedetta Porcaroli e Steven Spielberg ha ritirato ieri il suo Orso d’Oro alla Carriera, proprio oggi esce al cinema Laggiù qualcuno mi ama di Mario Martone, presentato nella sezione Berlinale Special. Nel 1995, a un anno dalla scomparsa di Massimo Troisi, il regista di Nostalgia firmò un articolo sul Mattino di Napoli per ricordarlo: Maestro lieve. Forse risiede qui il Dna del suo film, anzi la mappa iniziale del suo percorso per esplorare il Troisi regista, il cineasta oltre il comico, l’artista che non ha mai smesso di essere fondamentale per Napoli e per il cinema italiano grazie ai suoi film, anche dopo la morte.
Martone si mette al fianco di Anna Pavignano, fedele e preziosissima sceneggiatrice di Troisi e custode di tanti suoi appunti e foglietti che scopriamo per la prima volta. A leggerli, ne riconoscerete le voci, Pierfrancesco Favino, Silvio Orlando, Teresa Saponangelo, Toni Servillo, Luisa Ranieri, Lino Musella, Valerio Mastandrea e Massimiliano Gallo. A parlare di Troisi insieme a Martone il critico Goffredo Fofi, con una sua teoria che lo accosta a Eduardo; Paolo Sorrentino, con sigaro su divano, ne sottolinea i tratti registici che lo hanno ispirato; Ficarra e Picone ne ricordano la maschera comica spiegando perché Troisi fa parte di un pantheon di icone.
Lo sceneggiatore Francesco Piccolo spiega il nuovo modello maschile che Troisi ha inventato e rappresentato negli anni ’80. E poi Michael Redford e Roberto Perpignani, regista e direttore della fotografia de Il Postino, rivelano il dietro le quinte di quell’ultimo film. Il doc di Martone segue il percorso eroico di un artista, ne rilegge il linguaggio confrontando il pensiero d’illustri estimatori. Da questo punto di vista risulta come un affettuoso contributo intellettuale a una genialità radicata nel suo territorio e spentasi appena prima del lancio internazionale. Ma scoprirete anche un grande schermo romano estivo che l’anno scorso ha festeggiato il genio di Troisi con centinaia di ragazzi, millenial, tutti assorti sulle sue disavventure amorose di Ricomincio da tre. Martone sembra sussurrarci “Quaggiù qualcuno lo ama: tutti noi”.
Proprio il 23 febbraio approda nelle sale italiane anche The Whale, di Darren Aronowsky. Applauditissimo a Venezia fino alle lacrime e candidato a tre Oscar, è tratto da una struggente pièce teatrale, segnando il ritorno di Brendan Fraser, ex-star della saga La Mummia, non più sex-symbol, ma attore maestoso nel vestire il ruolo di Charlie, obeso cronico, talentuoso insegnante e padre fallimentare di una figlia dal carattere forte di Sadie Sink. Il regista evidenzia la trascendenza corpo/anima percorrendo il disagio nel crepaccio tra l’anima di un uomo e il suo passato. Il cibo come sfogo compulsivo, rifugio disperato da un trauma mai risolto, la vergogna di mostrarsi ai suoi studenti online contrapposta ad una mente illuminata, seppur con un cuore schiacciato dai chili. Il rapporto complicato con l’amica, una magistrale Hong Chau (anche lei candidata all’Oscar con Fraser), che lo aiuta in casa tra solidarietà e dipendenza, compassione e strazio, complicità e redenzione. Sono alcuni dei nodi affrontati da un dramma tutto d’interni, affidato alla perfezione attoriale di Fraser, lavoro di appesantimento in ogni singolo respiro e decostruzione emotiva che rimarrà attorialmente antologico.
Di trascendenza corpo/anima parla, seppur in modi e scenari totalmente differenti, un’opera prima molto convincente in concorso alla Berlinale 2023: Disco Boy. È di Taranto Giacomo Abbruzzese, ma vive tra Francia e Spagna e ha girato questo suo primo lungometraggio dopo una gestazione di dieci anni. Per protagonista sceglie una faccia da rinnegato, Franz Rogowski (Freaks Out, Undine) e lo fa fuggire dalla Bielorussia in Polonia insieme ad un amico, destinazione Parigi. Fermato sans papiers, arruolamento coatto nella Legione Straniera Francese, durante una missione in Africa il suo cammino s’intreccerà con quello di un giovane guerrigliero nigeriano, insieme alla sorella contro il suo governo corrotto e inquinato dalle industrie petrolifere. Mutamba Kalonji e Laetitia Ky danno loro vita e inquietudine animista.
Con stile feroce Abbruzzese sfiora l’estetica di Nicolas Winding Refn e di Sokurov in Solaris, accarezza la guerra dal punto di vista di due ragazzi sui quali grava l’alito nero di una globalizzazione spietata che brucia e ricicla persone e anime. Parla di trascendenza tra morte e vita utilizzando ritmi tecno firmati da Vitalic, che in certi punti sembrano partire dalle sonorità stranianti di Arancia Meccanica. Parla tante lingue questa piccola babele di combattenti. Tra gli occidentali spicca il nostro Matteo Olivetti, qui commilitone di Rogowski, entrambi abbondano a talento. Uscirà al cinema il 9 marzo questa co-produzione Francia/Italia/Belgio/Polonia. Un viaggio psichedelico estremo, Disco Boy, che ci apre il sottomondo sconosciuto di uomini sospesi tra l’essere fedeli mercenari e l’orizzonte di un passaporto francese. E più politico di quanto non dia a vedere.
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